Dal 12 al 15 gennaio al Sanfelicinema

GENNAIO

Giovedì 12 (in inglese)Locandina italiana Io, Daniel Blake
Venerdì 13
Sabato 14
Domenica 15

Ore 21.15 sempre,
Domenica anche ore 16.00

Drammatico,
Gran Bretagna/Francia
2016
Di Ken Loach.
Con Dave Johns, Hayley Squires, Dylan McKiernan.
Durata: 1 ora 40’.

Giovane madre single di due figli piccoli e anziano falegname non trovano lavoro. Ma fanno amicizia e insieme cercano di superare una situazione difficile. Firmato Ken Loach.

LA CRITICA DEL FILM

Ken Loach, figlio di operai, torna alla regia con un nuovo film «militante» di tutto rispetto, con tanto di Palma d’oro vinta all’ultimo Festival di Cannes, dopo essere stato insieme a Paul Laverty, suo fido sceneggiatore, nella sua città natale di Nuneaton per documentarsi. Un’opera asciutta e cruda quanto basta (la scena al banco alimentare è a dir poco straziante), di denuncia, ma anche di spessore perché ciò che si vede (o che molte volte ci fanno vedere) non è mai lo specchio dell’intera realtà. Come quella che vivono i due protagonisti di questa storia alle prese con un governo che, dietro ad uno schermo o a pretese impossibili (persino nei confronti dei suoi impiegati), rischia di andare contro la dignità della persona, l’unico tesoro prezioso da salvaguardare. Un film utile, soprattutto contro l’indifferenza.
www.sdcmilano.it

Altro che il solito Loach. Andate a vedere ‘I, Daniel Blake’ (…): ne resterete conquistati per la violenza sofferta della sua poesia. Nonostante tutto, c’è poesia. E ci sono la miseria di Newcastle, le insidie della burocrazia, il cinismo del potere, la disillusione di chi non vede happy end. Loach trova accenti di verità che non è solo adesione ideologica ma si trasforma in qualcosa di spirituale, tanto che nella scena centrale si pensa al tragicomico Charlot.
Maurizio Porro – Corriere della Sera

Scritto dal fedele Paul Laverty (…) è un film nobilmente indignato, impegnato e frontale: forse, fino all’eccesso. (…) bisogna riconoscere che Loach usa un linguaggio quasi elementare; che, tuttavia, risponde in pieno al suo progetto. Lui dichiara di voler osservare i personaggi con empatia, come da un angolo dell’ambiente in cui questi si trovano: mantenendo la giusta distanza senza però perdere la capacità di emozionarsi. E così è. Certo, si possono preferire film come ‘Due giorni, una notte’ dei Dardenne o ‘La legge del mercato’ di Brizé, altrettanto politici ma che coniugano l’impegno con un linguaggio più personale. Ed è anche vero, in qualche misura, che Loach si lascia prendere dallo scrupolo dimostrativo, viaggiando sul crinale scivoloso del didatticismo. Però il suo cinema resta dannatamente efficace; inoltre conserva una dimensione emotiva che gli altri non hanno (vedere, per tutte, la scena in cui Katie e Daniel vanno a cercare cibo presso un’associazione di carità). La cosa che qui soddisfa meno riguarda, piuttosto, la sceneggiatura di Laverty. Perché le storie del maturo Daniel e della giovane Katie vorrebbero rispecchiarsi l’una nell’altra: come a mostrare l’inferno del proletariato post-moderno attraverso due ottiche differenti, ma complementari. E invece prendono direzioni centrifughe, viaggiando in parallelo e rincorrendosi lungo un montaggio non sempre convincente.
Roberto Nepoti – La Repubblica

Nella Newcastle contemporanea c’è gente che muore di fame. E non si tratta di migranti stranieri bensì di cittadini britannici bianchi, sudditi di Sua Maestà fino al midollo e membri di quella ‘working class’ oggi senza lavoro. (…) Potente, diretto, appassionato e solidissimo, il film seconda Palma d’oro di Ken ‘il Rosso’ Loach è lo specchio della sua rabbia da guerriero indomito nonostante gli 80 anni compiuti. II registro ricorda i suoi primi e sconvolgenti lavori per la Bbc (…). Imperdibile.
Anna Maria Pasetti – Il Fatto Quotidiano

Il messaggio del film è chiaro. La società ti ha tolto la dignità, ma tu puoi riprendertela proteggendo chi la dignità (cioè il lavoro, cioè l’autostima) l’ha smarrita prima dite. Piacerà. E molto. A patto che riusciate a rimontare (noi l’abbiamo fatto) le molte pregiudiziali politiche che Ken Loach, in una carriera più che cinquantennale ha sempre messo nelle sue opere. Oggi come mezzo secolo fa, la lotta di classe è sempre al centro delle sue opere. Da vecchio comunista (mai pentito) ha sempre sparato, ogni volta che poteva, persino sul Welfare britannico (che quando Ken era giovane era additato a modello in tutto il mondo). Figuriamoci se non spara oggi, che il Welfare è palesemente inadeguato e non tutela più, come si diceva una volta il cittadino «dalla culla alla bara». Mettendo in scena un diseredato che alla bara non ci può nemmeno arrivare serenamente, Loach ha indubbiamente buon gioco (di Daniel Blake s’è riempita l’Europa). Ma a questo punto è il caso di dire che il gioco alla sua veneranda età (80 compiuti) Ken lo sa condurre in modo magistrale (meritata, eccome la Palma d’oro a Cannes). E’ più bravo ora che da giovane. Guida gli attori da maestro, costringe lo spettatore a calarsi nei panni di Blake e della sua ragazza, anche se non ha ancora l’età di Daniel e fortunatamente i suoi problemi. E nei cento minuti riesce a darci sequenze indimenticabili.
Giorgio Carbone – Libero

Dignità e solidarietà contro indifferenza. Ken il Rosso, però, eccede con le disgrazie accumulate dai due «miserabili», rendendo meno credibile il suo film più sofferto.
Maurizio Acerbi – Il Giornale

Ken Loach intasca la seconda Palma d’oro (…) e lo fa con uno dei film più scontati e meno interessanti visti a Cannes: ‘I, Daniel Blake’ è più un comizio politico che un film (…), un’intemerata ideologica che trasforma un carpentiere in un agnello sacrificale lasciato solo di fronte dell’insensibilità sociale dello Stato. Non mettiamo in dubbio che sia così per la classe operaia inglese ostaggio di governi reazionari, ma in un film sentiamo il bisogno di un linguaggio meno schematico, di una messa in scena meno ricattatoria, di una recitazione meno convenzionale.
Paolo Mereghetti – Corriere della Sera

Senza temere di venir bollati come «passatisti» hanno assegnato la Palma d’oro a ‘I, Daniel Blake’ di Ken Loach, su cui parecchi avevano storto il naso al motto «da mezzo secolo sempre lo stesso film». Sarà lo stesso, ma con quanta ispirata semplicità, con quanta inesausta passione e compassione il maestro britannico ci coinvolge nel dramma di un uomo comune in dignitosa lotta contro un sistema iniquo.
Alessandra Levantesi Kezich – La Stampa

Un film per aprire gli occhi su ciò che ci sta intorno: ‘I, Daniel Blake’ di Ken Loach. (…) spoglio, rigoroso, iperrealistico, implacabile; un ‘Umberto D.’ dei nostri giorni incrociato a ‘La legge del mercato’, l’angoscioso film con Vincent Lindon disoccupato e stritolato dalla burocrazia. (…) Con due personaggi così, ci voleva tutta l’arte di Loach per non cadere nel melodramma edificante. Nessuno infatti sa restare semplice, credibile e concreto meglio di questo grande creatore di personaggi, che illumina tragedie invisibili con la pazienza e la precisione di chi non si rassegna a considerare normale ciò che è aberrante, ma ci mostra con ostinazione a cosa porta l’assetto economico e tecnologico oggi dominante. Restando fedele al suo cinema ma variandone continuamente toni e colori, con un’attenzione che è anche segno di rispetto e di amore per gli spettatori.
Fabio Ferzetti – Il Messegero

Ken Loach come uno se lo aspetta. (…) I toni iniziali di commedia dell’assurdo, riusciti nei suoi film più sarcastici, lasciano posto a una cupezza che scivola nel ‘mélo’. L’ottantaduenne Loach si affida a una costruzione classica, a copioni solidi, attori bravissimi, e punta tutto sulla verosimiglianza e sulla prossimità ai personaggi. Man mano affonda un po’ il pedale, accumula sventure e ingiustizie e i suoi proletari sono spesso troppo angelici; infine fa capolino, come spesso gli capita, l’ideologia. Ma la differenza è che Loach sembra credere davvero a ciò che racconta, ai personaggi, alla loro dignità e alla loro lotta, e quindi gli si perdona molto.
Emiliano Morreale – La Repubblica

(…) quando sul nero dei titoli di testa, parte uno dei migliori dialoghi di sempre del cinema loachiano, quell’inconfondibile stridore fra umorismo disperato e indignazione, l’attenzione scatta subito e resta puntata saldamente sino alla fine del film. (…) Loach ritrova il colore ambientale del suo cinema settantesco. I movimenti di macchina essenziali e le inquadrature attente a contestualizzare il conflitto nell’inquadratura con il fuori campo; una vividezza, finalmente di nuovo capace di graffiare, dovuta alla precisione con la quale il linguaggio diventa parte integrante della tessitura sonora del film, sono gli elementi formali che segnalano di una urgenza ritrovata. Il rapporto che Daniel ha con il suo vicino di casa (…) coglie alla perfezione la riorganizzazione dal basso di ciò che resta della classe operaia britannica e del proletariato ormai privo di orientamento che non sia la sua mera sopravvivenza. La presenza di Rachel (…) pur inserendosi in un’idea di mélo che ha in Chaplin e De Sica le sue punte più alte, offre a Loach la possibilità di tratteggiare con agghiacciante precisione il quadro di una nuova e atroce povertà. (…) In fondo è vero: si tratta del «solito» Loach. Solo che il «solito» Loach con ‘I, Daniel Blake’ ha ritrovato la necessità delle sue opere migliori.
Giona A. Nazzaro – Il Manifesto

Dimenticatevi la lotta di classe, i capitalisti e i lavoratori, il padronato e gli operai… Dimenticate anche le liste di collocamento e i sindacati, le riforme del lavoro in stile ‘Jobs Act’ e il feticcio delle privatizzazioni. Mettete, al loro posto, una burocrazia del Welfare imbevuta di circolari e curricula on line, di impiegati-funzionari allevati nel culto dell’impersonalità, di pratiche, di file e di sanzioni, per chi disattende, magari senza saperlo, le regole, di spersonalizzazione nelle domande come nelle risposte. Aggiungeteci l’età, l’abitudine al contatto umano negata nel nome dell’efficienza e della velocizzazione informatica, la difficoltà a uscire da una routine lavorativa per andare incontro a un nuovo indefinito, l’umiliazione a non sentirsi al passo con i tempi, l’umiliazione perché nessuno ti dà il tempo e il modo di metterti al passo con i tempi… Bene, mischiate tutto questo e avrete il nuovo film di Ken Loach, ‘I, Daniel Blake’ (…). Asciutto, commovente (…) ha una componente satirica che gli impedisce di naufragare nel sentimentalismo.
Stenio Solinas – Il Giornale

Il veterano inglese Ken Loach (…) è un habitué del Festival (…). Anche questa volta non delude, il suo «I, Daniel Blake» (…) è un pugno nello stomaco. Il regista più anacronisticamente comunista del pianeta torna al suo tema preferito, la povertà 2.0, la vita disperata dei miserabili del terzo millennio, quel che resta del proletariato che fu lo scheletro del ventesimo secolo e adesso è archeologia industriale. (…) Il regista del free cinema inglese, degli indimenticabili «Riff Raff», «LadyBird LadyBird», «Piovono pietre» non fa sconti allo spettatore. Certe scene sono talmente forti che avrete voglia di chiudere gli occhi.
Marco Dell’Oro – L’Eco di Bergamo

(…) ritorno dolente e splendente al Ken il Rosso che amiamo di più (…).
Federico Pontiggia – Il Fatto Quotidiano

(…) film duro e senza speranza sui nuovi poveri, quelli che ci sono vicini e non vediamo, a firma di Ken Loach. Si tratta del ritorno del maestro britannico, ma con toni crepuscolari, ai suoi primi favori. Un film che fa ridere, almeno all’inizio, e poi piangere. (…) Loach si muove questa volta, più dei solito, su un doppio registro che può ingannare. (…) Tra furti al supermercato e l’accettazione di lavori umilianti da parte di lei, e la lenta deriva verso la povertà di Daniel, scorre il film verso un inevitabile tragico finale.
L’Unità’