Dal 2 al 5 marzo al Sanfelicinema

MARZOLocandina italiana La battaglia di Hacksaw Ridge

Giovedì 2
Venerdì 3
Sabato 4
Domenica 5

Ore 21.15 sempre,
Domenica anche ore 16.00

Storico,
Australia/Usa 2016
Di Mel Gibson.
Con Andrew Garfield, Teresa Palmer, Hugo Weaving, Rachel Griffiths
Durata: 2 ore e 11’.

Con l’attacco alla base di Pearl Harbor è guerra tra USA e Giappone. Desmond Doss, si arruola ma rifiuta di impugnare il fucile. Da soccorritore medico sull’isola di Okinawa affronta non solo l’esercito nipponico, ma anche i pregiudizi dei compagni e il suo dramma personale.

LA CRITICA DEL FILM

(…) un film potentissimo, squarciato a metà tra addestramento e fronte, citando Wyler e Kubrick e con un grande Andrew Garfield, più sofferto qui che in ‘Silence’. E sempre padri contro figli, sergenti contro soldatini, pace contro guerra, in un cinema che riunisce due anime e si butta a corpo morto in una cruenta e selvaggia carneficina. Convince l’armonia dell’insieme, la violenza anche della costanza dell’uomo senza fucile, i magnifici comprimari Weaving e Vaughn.
Maurizio Porro – Corriere della Sera

I personaggi radicali sono quelli che hanno sempre appassionato Mel Gibson e anche questa volta il regista riflette sul potere della fede rievocando la Seconda Guerra Mondiale. Si può essere patrioti e rinnegare la violenza, e questa è una lezione importante nell’America di oggi.
Alessandra De Luca – Avvenire

(…) la trasposizione gibsoniana della vera storia di un obiettore di coscienza diventato eroe di guerra sul fronte di Okinawa (maggio ’45: 11mila morti americani e 100mila giapponesi) esibisce una sincerità così veemente, un’iconografia così brutale, una religiosità così viscerale da renderne impossibile a qualsiasi tipo di spettatore la consueta «deglutizione» indifferente. Ad uno sguardo obiettivo, insomma, le tre parti che scandiscono la storia di Desmond Doss (…) trasudano nello stesso tempo retorica e patriottismo Usa, culto persino ingenuo del coraggio e dell’abnegazione e denuncia dell’assurdità della guerra. Anche dal punto di vista della costante e convulsa ricerca di una spettacolarità estrema e sconsigliata ai pubblici impressionabili, il cosiddetto «Mad Mel» coniuga alternativamente la magniloquenza dei film di guerra in stile Warner anni Cinquanta alle acmi iperrealistiche raggiunte con poco computer e molti effetti «in camera» sulla scia dei modelli firmati Peckinpah e Spielberg. L’interminabile sequenza del carnaio della collina Maeda che occupa, in pratica, la seconda metà del film rende, così, il corpo a corpo di trincea un golgota dantesco, intriso di una cultura pittorica disomogenea vagamente evocatrice dei dipinti controriformistici fitti di morti raccapriccianti, corpi straziati e sangue dilagante. La mano di Gibson è, dunque, pesante, ma l’effetto sullo schermo è in qualche modo annichilente.
Valerio Caprara – Il Mattino

Dopo dieci anni l’«infamous» Mel Gibson torna dietro la macchina da presa e con il suo talento di cineasta riesce a far (almeno temporaneamente) dimenticare gli episodi di ubriachezza, risse, esternazioni antisemite e omofobe per cui è noto. (…) ‘Hacksaw Ridge’ è destinato a ritagliarsi un posto fra i classici del cinema di guerra hollywoodiano, in una linea che va dal ‘Sergente York’ a ‘Lettere da Iwo Jima’ di Clint Eastwood. Con quest’ultimo illustre collega Gibson ha più di un punto in comune, tra cui l’ostentazione verbale di un reazionario integralismo che i film non rispecchiano, o rispecchiano solo in parte. Più di tutto, Gibson ama far emergere dei suoi protagonisti il lato umano e la ferma convinzione morale; e in tal senso in Desmond Doss (…) ha trovato l’eroe ideale. (…) Strutturato in due parti, il film delinea nella prima i perché della motivazione religiosa del personaggio, fra cui un contrastato rapporto con un padre, traumatizzato dall’esperienza della I Guerra; mentre la stoica resistenza di Doss a umiliazioni fisiche e insulti durante l’addestramento, offre a Gibson l’occasione di suggerire con qualche ridondanza una specie di calvario a misura umana. Da qui si salta direttamente alla primavera del 1945 nel paesaggio infernale di Okinawa (…) dove Doss nel corso di una notte portò in salvo, lui da solo, ’75 compagni feriti. Articolato in tre lunghe sequenze girate con limpidezza e piglio epico, lo scenario bellico è mostrato in tutto il suo orrore, ma senza compiacimenti semmai in funzione di denuncia; e con il suo sguardo inquieto e il suo ispirato ribellismo Andrew Garfield, giustamente candidato come miglior attore, conferisce scorticata, moderna sensibilità al personaggio.
Alessandra Levantesi Kezich – La Stampa

(…) film delicatissimo per ragioni filmiche e biografiche. Incredibile ma vero, le stagnanti acque della Laguna per ‘Mad Mel’ si sono rivelate lustrali: è rinato a nuova vita, senza rinnegare se stesso. (…) In attesa del ‘Dunkirk’ di Christopher Nolan, il ‘De bello Gibson’ non si batte: ritmo e clangore, coreografie ed esplosioni, e almeno una scena – un soldato yankee si fa scudo di un commilitone ridotto a tronco umano e va all’assalto dei giapponesi – da mandare per direttissima agli annali della Settima Arte. Il segreto? Il segno di Croce, lo stesso che il regista si fece in ‘The Passion’ (2004): ‘Nel nome del Padre, del Figlio e del globulo rosso…’. Il sangue scorre a fiumi, secondo solo alla retorica; la Bibbia è brandita come un’arma; Andrew Garfield smette la calzamaglia di Spider-Man ma non i superpoteri (…). Pane, e sangue, per i denti di Gibson, che a leggere la sceneggiatura di Robert Schenkkan e Andrew Knight non avrà creduto ai suoi occhi: a Okinawa, fronte del Pacifico, secondo conflitto mondiale ravvisa un’altra Passione, un altro Cristo, l’ennesimo trionfo ematico, si spella le mani e parte lancia in resta. Dio, patria e famiglia, guerra e amore, il suo cinema santifica tutto, senza eludere ed elidere nulla, perché per Gibson osceno e fuori scena non sono sinonimi ma contrari. Se Andrew Garfield è nettamente preferibile qui che nella tonaca del ‘Silence’ scorsesiano, nel buon cast spicca il padre rotto e manesco Hugo Weaving, e lo spettacolo vale davvero il biglietto, al netto delle tare ideologiche: sì, Mel Gibson è tornato alla grande.
Federico Pontiggia – Il Fatto Quotidiano

Si sente nel focoso passo marziale, nei dettagli cruenti e spettacolari, delle scene di guerra, nell’onore iconico del protagonista quanto Mel Gibson regista è fiero del suo filmone sulla battaglia di Okinawa, nella storia vera del soldato Doss (…). Esempio di coerenza e richiamo ai valori di democrazia, l’ex ‘uomo ragno’ Garfield risulta una buona scelta per ricostruire il ‘corpo senza fucile’ nelle imprese del ragazzone. Impostato come un inno di gloria alle convinzioni ideologiche, con ricostruzioni di combattimento, è la sfida di Mel al vecchio Clint. Vince Eastwood. Però il fanatico (alcolico e violento) autore del blockbuster cristico ‘Passion’ recupera la verve di ‘Braveheart’.
Silvio Danese – Nazione-Carlino-Giorno

Piacerà un sacco agli ammiratori di Mel Gibson. Che in anni passati (‘Apocalypto’ è del 2006) si saranno intristiti non poco per la sua inazione come regista. E la tristezza sarà stata raddoppiata dalle infelici comparse di Mel quale attore (…). ‘Hacksaw Ridge’ è invece di nuovo grande Gibson. Per l’impalcatura ideologica (l’opera parte da premesse che solo Mel poteva sostenere) e per la grandeur, la tensione nelle scene di battaglia. Solo il bigotto Mel poteva raccontare la vicenda – e la leggenda – di uno più bigotto di lui. E solo Mel poteva rendere plausibile e digeribile per il comune spettatore il dualismo leggermente schizoide di Desmond (rifiuta di violare il quinto comandamento e si offre volontario per la guerra, che è violazione feroce e sistematica del quinto). Forse non solo Mel ma pochi altri, leggi Clint Eastwood, erano in grado di riempire lo schermo con battaglie che reggono il confronto con quelle di ‘Braveheart’. E in un caso su tre le superano. Il primo combattimento è messo in scena come un terribile incubo dove non c’è posto per inno dei Marines o bandiere che sventolano. Merito dei meriti gibsoniani, l’aver evitato il santino. Desmond fu un eroe, ma Mel non dimentica neanche per un minuto che a Okinawa vinsero quelli che a uccidere non avevano remore.
Giorgio Carbone – Libero

La fede sembra, improvvisamente, tornata di moda in quel di Hollywood. Dopo il recente ‘Silence’ di Scorsese, che si interroga sui (presunti) silenzi di Dio che possono sgretolare granitiche vocazioni religiose, ecco ‘Hacksaw Ridge’ che, all’opposto, celebra la fermezza del «Credo». E permette a Mel Gibson di firmare, probabilmente, il suo miglior film dietro la macchina da presa. Che lui sia un grande regista di scene belliche è risaputo, ma mai come in questa occasione è stato capace di esaltare un campo di battaglia, raccontando, paradossalmente, la storia di un atipico eroe di guerra. (…) Tutto reale, come testimoniano alcuni contributi dei veri protagonisti, inseriti nei titoli di coda. Insomma, per certi versi, un altro «Sergente York» (ricordate Gary Cooper?), pur con gli evidenti distinguo delle due storie. Andrew Garfield è credibile in ogni momento e meriterebbe di vincere l’Oscar, in particolare quando Gibson (candidato alla regia) lo trasforma in una sorta di Gesù che sprizza sangue dopo il sacrificio e viene adagiato su una barella come nel sudario. Del resto, il suo misticismo sa di ossessione e qui Mel trova materia plasmabile. Un bel confronto anche tra il concetto del soldato, strumento di guerra, e l’idealizzazione di un combattimento «pacifico» in antitesi con la macchina bellica.
Maurizio Acerbi – Il Giornale

E’ una storia assurda ma è anche vera come dimostrano le struggenti testimonianze fotografiche e video disposte da Gibson sui titoli di coda di un film quasi divertente nella prima parte (lo stupore dei militari di fronte a questo campagnolo invasato è esilarante) per poi diventare incredibilmente feroce e violento in un epilogo di guerra di trincea che consigliamo agli stomaci forti. La vicenda epica del primo e unico soldato pacifista della storia dell’esercito americano, splendidamente interpretato da un Garfield solare, sorridente e mai irritante nella sua ferma convinzione morale, entra magicamente in connessione con la vita di Gibson, credente come Doss ma in passato molto meno pacifista di lui. (…) un film religioso febbricitante e realmente vertiginoso, in grado di colpire con forza anche i non credenti per via dell’universalità del messaggio portato da questo incredibile personaggio morto il 23 marzo 2006 dopo essere diventato un vero e proprio mito della storia moderna americana.
Francesco Alò – Il Messaggero

La dismisura sembra la chiave scelta da Mel Gibson per fare il regista: l’economia di mezzi non lo riguarda, il suo motto è ‘think big’, sia che racconti la passione di Cristo, l’epopea dei Maya o, come qui, il primo obiettore di coscienza premiato con la Medaglia d’onore del Congresso. (…) Gibson filma «alla vecchia», senza sfumature né zone d’ombra, moltiplicando le esplosioni e le carneficine. Frastornando i soldati ma anche gli spettatori.
Paolo Mereghetti – Corriere della Sera

Gibson racconta il celebre scontro insistendo, con il suo gusto splatter, sui dettagli più macabri, in un delirio di sangue, corpi sventrati e altri orrori. D’altra parte non è la prima volta, lo stesso stile discutibile, ai limiti del compiacimento, era presente nella ‘Passione di Cristo’ e in ‘Apocalypto’. (…) L’interesse di ‘Hacksaw Ridge’ (…) sta soprattutto nella vicenda reale, rievocata, alla fine dela pellicola, attraverso le interviste ai protagonisti, da Doss (morto nel 2006) ai suoi superiori, costretti a riconoscere il valore di quel militare così atipico. Nei suoi panni, alto, magro, con la faccia da bravo ragazzo perennemente stralunato, recita Andrew Garfield (…)
Fulvia Caprara – La Stampa

Dieci anni dopo il discusso e discutibile ‘Apocalypto’, Mel Gibson ritorna dietro la macchina da presa conservando intatti qualità e difetti. E’ uno dei migliori registi di scene belliche, riesce a trarre il massimo dagli attori, sa che una buona sceneggiatura è già metà dell’opera, ha un senso sicuro dello spettacolo. L’altro lato della medaglia è una specie di ossessione mistica, coniugata con una sorta di sadismo rosso-sangue: dolore e preghiere, mutilazioni ed espiazioni, delitti e castighi, la sofferenza come strada, non sempre certa, verso la salvezza. (…) il film non è mai banale nel raccontare lo scontro fra la macchina militare che deve trasformare i suoi soldati in strumenti di morte e uno di essi che, pur rifiutandosi di uccidere, difende l’idea che si possa combattere salvando le vite dei propri commilitoni: «cooperatore cosciente» è come del resto lo stesso Doss preferirà definirsi, al posto di obiettore di coscienza… (…) Una bella pagina, asciuttamente retorica, nel libro degli eroi solitari, disperati e apolitici raccontati da Mel Gibson nel corso di una carriera bella e drammatica.
Stenio Solinas – Il Giornale

Mel Gibson torna alla regia con un film epico, tratto da una storia vera, presentato fuori concorso al Festival di Venezia e ora in fila per sei premi Oscar. E lo fa egregiamente, mettendo in scena un racconto dai bellissimi tratti umani, portando sul grande schermo un eroe ordinario che rischiava d’essere dimenticato. Seppur insignito della Medaglia d’onore dal presidente Truman, «il soldato Doss» visse poi nel nascondimento, fin quasi alla fine dei suoi giorni, sostenendo che i veri eroi furono quelli che morirono sul campo. In questo senso, grazie alla regia «armata» del guerriero di «Braveheart», il film risulta essere un quadro estremamente realista e positivo. Egli non ci risparmia nulla in fatto di orrore («per dare il senso che quel posto fosse il peggiore mai visto dagli uomini») e sangue (come sempre «abbondante»), ma nemmeno a riguardo della enorme potenza della fede («Quanti sperano nel Signore riacquistano forza»). Un film affascinante per chi vede, ancora oggi, la vita come una battaglia da vincere. Mai però con un fucile.
Gianluca Bernardini – www.sdcmilano.it