Dal 16 al 19 marzo al Sanfelicinema

MARZOLocandina italiana Manchester by the Sea

Giovedì 16
Venerdì 17
Sabato 18
Domenica 19

Ore 21.15 sempre,
Domenica anche ore 16.00

Drammatico,
Usa 2016
Di Kenneth Lonergan.
Con Casey Affleck, Michelle Williams, Kyle Chandler.
Durata: 2 ore e 15’.

Lee Chandler, nominato tutore del nipote Patrick, rientra in contatto con l’ex moglie Randy e con la vecchia comunità da cui si era allontanato. Un film intenso ed emozionante, sentimenti e personaggi magistralmente raccontati da regia e attori di altissimo livello.

LA CRITICA DEL FILM

Autore di altri due film baciati dal complesso di colpa a conduzione familiare, Kenneth Lonergan centra in pieno il bersaglio con ‘Manchester by the Sea’, dramma intimista dai grigi lividi del Massachusetts, che entrano dentro. (…) L’autore gioca al ribasso, non suona la grancassa sentimentale (ma solo l’Adagio di Albinoni), dirige per sottrazione un magistrale Casey Affleck, che ci mette l’inconscio a disposizione fra sguardi, pause e silenzi, dividendo il peso del destino col dotatissimo Lucas Hedges (…). Il merito del film è essere commovente senza programmarlo, girovagando tra le cose non dette della vita, traendo ispirazione da quelle che sembrano minori, arrampicandosi su per i ricordi. Confondendo con bel metodo narrativo i piani spazio temporali il regista ci porta fino all’accettazione, senza stampare ‘The end’, meno che mai happy, su un equilibrio affettivo complicato, come dimostra l’incontro con l’ex Michelle Williams. Il ricordo è il lato patetico della memoria? Paradiso o inferno? Dondolandosi tra due ipotesi Lonergan costruisce un dramma che ci rende più buoni e più cattivi perché siamo in balla del caos.
Maurizio Porro – Corriere della Sera

La cosa più apprezzabile è che Lonergan non ci racconta questo dramma familiare in modo schematico o patetico, ma adotta lo stesso riserbo dei suoi personaggi, mentre li fa procedere tra aperture e incertezze, progressi e ricadute. Per giungere a una bella scena liberatoria, in sottofinale, dove Lee e Patrick ‘comunicano’ lanciandosi una palla da tennis. L’intelligenza della regia, misurata e sapiente senza nulla sacrificare all’interesse della storia, si concentra su aspetti non evidenti nell’immediato, ma che fanno poi la qualità del film: dalla fotografia di Jody Lee Lipes, in toni di grigio dove mare e cielo si confondono, alla cura delle immagini (quasi sempre fisse), ma in cui l’isolamento di Lee dagli altri è suggerito dai rapporti spaziali all’interno dell’inquadratura. Per riuscire a far partecipare a una storia senza pathos (esibito ) occorre l’impegno di tutti; e Casey Affleck, interprete più convincente del fratello Ben, è una scelta felice. Un protagonista inadeguato avrebbe sabotato il delicato equilibrio del film, rendendolo diverso da quel che è. Sono più che giustificate anche le nomination per gli attori non-protagonisti: Lucas Hedges nella parte di Patrick e Michelle Williams, nel ruolo della ex-moglie di Lee. Ottimo corredo al tutto la colonna musicale, che alterna brani di Hendel e Albinoni con Bob Dylan e Ray Charles.
Roberto Nepoti – La Repubblica

Nessuno come Lonergan sa (…) centellinare emozioni e informazioni scolpendo goccia a goccia personaggi e sentimenti complessi quanto sfumati. (…) un Casey Affleck assolutamente memorabile (…) attenti al sottotesto socio-razziale: i rapporti di questo irlandese bianco una volta benestante, con gli afroamericani da cui ora accetta ordini o mance, illuminano con sottile efficacia il suo ambiente di nascita e una decadenza sociale particolarmente crudele in quell’angolo così ‘wasp’ degli Stati Uniti. (…) benché tragico, il film è scosso da lampi di humour che rendono tutto ancora più autentico: i rapporti a dir poco disinvolti del nipotino con le sue due fidanzate, ad esempio, complicati da gestire anche per lo zio, meriterebbero un capitolo a parte. E intanto, intrecciando passato e presente senza mai un’immagine o una nota di troppo – echeggia perfino l’abusato Adagio di Albinoni, e ci sta benissimo – prende forma la tortuosa storia dei due fratelli, del loro profondo legame (che meraviglia quelle gite in barca, padre, figlio e zio), ovvero dei loro diversamente disastrosi ménage (Michelle Williams e Gretchen Mol sono le rispettive mogli, poi ex-mogli). Una bellissima storia di sopravvivenza, in fin dei conti. Che al posto del chiasso e delle iperboli del cinema oggi dominante mette i sogni, i silenzi, i traumi a volte inguaribili, la difficoltà di esprimere i sentimenti che tutti più o meno conosciamo. Cristallizzata in un blocco di dolore e verità che raramente al cinema è dato vedere.
Fabio Ferzetti – Il Messaggero

Affleck si cala con estrema naturalezza nell’autodistruttivo protagonista, Michelle Williams dà il massimo in un ruolo piccolo e tuttavia cruciale. Fra tristezza e sorriso, Lonergan distilla il dramma nelle pieghe del quotidiano prendendosi tempi forse troppo lunghi, ma funzionali a restituire il ritmo della vita com’è.
Alessandra Levantesi Kezich – La Stampa

Mélo familiare e al maschile (…). Più che farsi guidare da una «progressione» narrativa, Kenneth Lonergan lascia che il racconto segua il flusso del tempo illuminando le relazioni che vi si dipanano con delicata sensibilità. I suoi personaggi entrano nel movimento della vita, nei «non-eventi» che la scandiscono attraversando il paesaggio della città costiera del titolo, la luce del mare, i «riti» del luogo, quella workingclass di pescatori che non vuole farsi sopraffare dalle nuove economie pure se per molti le barche sono diventate troppo care. Passato e presente si sovrappongono, lasciano affiorano gli errori, i disastri del caso che quasi intrappolano i protagonisti nel momento fatidico della loro esistenza. (…) Lonergan lascia aperto l’orizzonte emozionale dei suoi «eroi» rimane aperto, anche quando è tutto deciso in una scrittura ricca di situazioni (che è uno dei punti di forza del film), con detour paradossali, toni quasi da commedia, che contrappongono le due figure maschili (…). Ma ciò che impressiona è l’equilibrio perfetto che Lonergan raggiunge tra storia, regia e recitazione del protagonista, Casey Affleck, che in questo ruolo sembra trovare una piena corrispondenza alla sua fisicità, accordata ai silenzi, alla violenza trattenuta, all’indecifrabile corso dei pensieri del «suo» Lee. (…) ‘Manchester by the Sea’ rappresenta dopo il disastro finanziario (e non solo) del precedente ‘Margaret’ la rivincita di Kenneth Lonergan. Una scommessa vinta magnificamente.
Cristina Piccino – Il Manifesto

Non è istrionismo, è verità, quella che dolorosamente intride ‘Manchester by the Sea’ (…) tratta il dolore come se fosse un panino con l’aragosta: qualcosa di tangibile, esperibile, persino commestibile. Se l’arco narrativo contempla flashback tesi a svelare progressivamente il puzzle, nondimeno l’architettura drammaturgica, la partitura poetica è classica: non sappiamo se l’abbia visto, ma volesse tifare agli Oscar dopo l’ingiusta esclusione del suo ‘Sully’ Clint Eastwood dovrebbe farlo per questo film. I ‘Mystic River’, le ‘Million Dollar Baby’ abitano qui, insieme all’ineluttabilità, alla sordità, alla completezza del dolore del protagonista Casey Affleck, mai così bravo, totalizzante, esemplare. Non è un caso, forse, che nella scena più intensa e sofferta dell’anno, il finale incontro tra il Lee Chandler di Affleck e l’ex moglie Randi interpretata da Michelle Williams, riemerga il ricordo di Heath Ledger, già compagno della Williams, padre della loro bambina e suicida nel 2008 a soli 29 anni: che grande attrice sia Michelle non lo scopriamo ora, ma quel che fa qui non pare solo straordinario mestiere. La visione del film è consigliatissima a tutti, ma addirittura imprescindibile per chi fa l’attore: vedere e imparare, non c’è altro. (…) Tranquilli, il film non è mortifero, senza eludere il dolore né elidere i punti di sutura confida nella rinascita, scommette su una seconda possibilità: non apre a un ottimismo inconsulto, non allarga il sorriso, ma per questo risulta più vero e incomparabilmente più prezioso. Storia di provincia, contea di Essex, Massachusetts, e racconto umanissimo: nella via Crucis laica di Lee, di cui veniamo a conoscere tutte le stazioni, troviamo noi stessi, le nostre ferite, quel che siamo oltre tutto e malgrado tutto. In fondo, non è un dramma sulla perdita, ma su quel che rimane, su quel che resta, in primis la mancanza. E non ultima l’ironia, che disgela il rapporto tra Lee e Patrick (…). Lonergan, che scrive e dirige, non è un esibizionista: non indulge nel patetico, non insegue la lacrima facile e insipida, bensì cesella dolore e commozione con l’ambizione della verità. Gli attori, magnifici, aiutano, lo stile senza fronzoli pure, e così ‘Manchester by the Sea’ trova tra i porticcioli del Massachusetts e nei rovelli di Lee la tutela sentimentale al nostro vivere, morire e sopravvivere oggi. David Foster Wallace, che come Heath Ledger non sarebbe sopravvissuto, scrisse: ‘Mi manca chiunque’. Vi troverete a pensarlo in quel finale dialogo tra Lee e Randi, dopodiché vi mancherà anche questo film.
Federico Pontiggia – Il Fatto Quotidiano

Insidiosa sfida con la disponibilità dello spettatore scrivere una sceneggiatura e girare il film sul lutto dei genitori. Letteratura, teatro e cinema hanno performato nei millenni profondi risultati e presuntuose esibizioni, da Sofocle a Philippe da ‘Beautiful’ alla cosiddetta tv del dolore. Immagini e parole passano alla selezione di memoria e istinto: stai raccontando senza barare? Prodotto da Matt Damon, scritto dal regista Lonergan (faccia triste di drammaturgo newyorkese), affidato al migliore degli Affleck (Casey, qui un pezzo di ferro sanguinante), è la storia di un rifiuto post traumatico alla vita spezzato da un altro trauma (…). Cinepresa cauta tra volti e marine. Salvato dal mélo anche l’incontro con la ex moglie. Sfida quasi riuscita.
Silvio Danese – Nazione-Carlino-Giorno

Piacerà. Deve piacere, nonostante la depressione della trama e dei personaggi. (…) Manchester è gradevole solo per pochissimi dei suoi centotrentasette minuti. Manchester è descritta come un luogo invivibile e Boston pure (quando uno come Lee si porta l’inferno nel cuore nessun posto è un buon posto). Ma all’inferno (almeno in terra) nessuno è condannato a priori. Lee entra come un fantasma a Manchester ma a poco a poco si sgela. Merito di quel nipote che sia pure segnato anche lui dal dolore (ha perso da poco il padre) ha quella meravigliosa capacità di recupero che solo della giovinezza è patrimonio. Recupera lui, recupera Lee, recupera lo spettatore che partito con una stretta al cuore (per l’estrema cupezza dell’avvio) si rinfranca poco a poco nella convinzione crescente di star di fronte a un gran film. Grande in ogni reparto. Dalla straordinaria fotografia di Jody Lee Lipes alla regia di Kenneth Lonergan (ottimo anche nella scrittura) a un superlativo Casey Affleck (il momento in cui si apre al nipote è il top emozionale del film).
Giorgio Carbone – Libero

Un dramma che Lonergan racconta quasi in punta di piedi, con pudore, senza arrivare, per forza di cose, a un finale scontato, lasciando, anzi, allo spettatore, se lo vorrà, una volta uscito dalla sala, il compito di cicatrizzare le ferite. Prendendosi i suoi tempi, come accade in quei piccoli villaggi costieri del nord-est americano.
Maurizio Acerbi – Il Giornale