Dal 18 al 21 maggio al Sanfelicinema

MAGGIO

Giovedì 18
Venerdì 19
Sabato 20
Domenica 21

Ore 21.15 sempre,
Domenica anche ore 16.00

Drammatico,
Finlandia 2017
Di Aki Kaurismäki.
Con Sherwan Haji, Sakari Kuosmanen, Ilkka Koivula.
Durata: 1 ora e 38’.

Kaurismäki sa farci ridere, sorridere, commuovere raccontando una storia di immigrati siriani in Finlandia. Ricordate Charlie Chaplin?

LA CRITICA DEL FILM

‘L’altro volto della speranza’ ci dice alcune cose molto serie, e la più seria di tutte è questa: sul dramma degli immigrati bisogna anche saper ridere! Ovviamente questa riflessione riguarda la sfera artistica, riguarda Kaurismäki come regista e noi tutti come spettatori. Il film è un miracolo (il precedente lavoro del finlandese si intitolava ‘Miracolo a Le Havre’): affronta in modo molto diretto un tema complesso e doloroso, racconta l’odissea burocratica del giovane siriano con la precisione di un documentario, sembra insomma un film di Ken Loach… e invece è un film di Kaurismäki quindi fa anche, spesso e volentieri, morir dal ridere. (…) Alcuni film aiutano a capire il mondo, L’altro volto della speranza è uno di questi film.
Alberto Crespi – L’Unità

Kaurismäki fa parte di quella specie rara di cineasti che andrebbe protetta perché offre al cinema una valenza (e violenza) morale inserendola in uno stile, perfino in una maniera. Con misura cinica e humour da Keaton, parco di parole ma generoso di suggestioni e distributore di solitudini, il finlandese Aki narra ‘L’altro volto della speranza’ in una Helsinki da fantascienza. (…) L’autore non bara con le parole, si fida del silenzio, ha una scrittura limpida, senza macchie né baffi, dice le cose in modo semplice e inequivocabile: in giro c’è razzismo e i burocrati sono così ottusi da dichiarare Aleppo luogo sicuro. Dietro la compostezza del welfare che lascia pochi spiccioli di pìetas di mancia, il vero senso di queste vite azzoppate si nasconde negli sguardi e nei luoghi da zombies (…). Un capolavoro di sintesi come tutto il film, tutto senza zucchero.
Maurizio Porro – Corriere della Sera

Si direbbero le premesse per un dramma attualissimo sul tema delle migliaia di reietti in fuga da terribili scenari di guerra che stentano a trovare ospitalità in un Occidente sempre più orientato a chiudere le frontiere; ma qui stiamo parlando di un’opera di Aki Kaurismäki, un cineasta che usa penetrare la realtà per la via della poesia, cogliendo peraltro lo spirito dei tempi meglio di un cronista. Sei anni dopo ‘Miracolo a Le Havre’, il regista finlandese dedica un’ennesima, incantevole ballata al mondo a lui caro dei perdenti e degli outsiders, mettendo su – a contrasto con l’indifferenza e la crudeltà dell’establishment (…) – un tenero teatrino di esseri umani uniti dal caso: rifugiati, invecchiati country-rockettari, camerieri stanchi, un cuoco improbabile, e una paradossale figura di maturo commesso viaggiatore, Wikström (Sakari Kuosmanen), deciso a regalarsi una nuova opportunità di vita dedicandosi alla ristorazione. Solo a Kaurismäki poteva venire in mente di far sedere il lunare Wikström a un tavolo di biscazzieri per vincere i soldi necessari a rilevare un locale; solo Kaurismäki, con la sua capacità di svaporare la tristezza in umorismo e rinvenire la bellezza nello squallore, poteva cantare la bontà senza scadere nella retorica. La fotografia bluastra di Timo Salminen ispessisce l’atmosfera di sfumature surreali e malinconiche; nella loro laconica imperturbabilità gli interpreti appaiono buffi e toccanti, inclusa Kati Outinen, l’immancabile musa dell’autore.
Alessandra Levantesi Kezich – La Stampa

Aki è indignato ma non distratto: il suo modo di cambiare il mondo non è facendo proclami ma utilizzando il proprio cinema nella coerenza di un linguaggio che travalica il messaggio. E’ sufficiente infatti mettere le persone al centro dell’inquadratura per manifestare il rispetto nutrito ‘hic et nunc’ nei loro confronti, mutandole così in personaggi. In tal modo il regista – sempre anche soggettista e sceneggiatore dei propri film – invita lo spettatore a fare altrettanto nei riguardi di quell’universo umano stravagante e stralunato, non di rado divertente nel suo essere balordo, ma perennemente emarginato dal potere, che costituisce il nucleo della sua visione di mondo. Non fa eccezione (…) ‘L’altro volto della speranza’, fiaba lirica eppur socialmente ‘arrabbiata’ che porta l’incontro fra il Nord e il Sud del Pianeta, anche in senso geografico. Khaled (interpretato dal bravo attore siriano Sherwan Haji, realmente rifugiato politico in Finlandia) emerge nel film dalla notte dei tempi, portato sulla terra dall’anarchia dei mari con il corpo cosparso di sabbia: il chiarore lunare lo tinge di un blu fosforescente, pronto a mutare nell’intenso azzurro elettrico da pigmento, quel segnale kaurismakiano che caratterizza la sua Poesia fortemente cromatica. È un alieno atterrato dal Nulla su una landa solo in apparenza pronta ad accogliere tutti: il giovane lo imparerà a sue spese, senza tuttavia perdere la speranza. Quella che anche noi nutriamo verso la formula delle trilogie, se a tanta meraviglia riesce a portarci.
Anna Maria Pasetti – Il Fatto Quotidiano

‘L’altro volto della speranza’ è la nuova perla di humour laconico dal geniale Kaurismäki, con le sue ossessioni (cantanti di strada, Checker Marathon) ma anche voglia di nuovo raccontando di immigrati a schiena dritta (iracheni, siriani, somali) e finlandesi brava gente (la Finlandia, come nazione, meno). (…) Chi conosce i sedici film precedenti di Kaurismäki (tra cui ‘Vita da bohème’, ‘Nuvole in viaggio’, ‘L’uomo senza passato’) non può perderlo. Chi non li conosce pure.
Francesco Alò – Il Messaggero

Piacerà anche a chi non è un fan di Kaurismäki e magari non ha mai visto un suo film. Resterà comunque incantato dal mix di malinconia e umorismo che percorre tutta la storia (…).
Giorgio Carbone – Libero

(…) a proposito di risate già questo film ne offre una bella dose, pur non essendo una commedia. Piuttosto è una specie di tragedia continuamente trattenuta, dove i drammi sembrano sempre sul punto di esplodere ma finiscono sul più bello per aprirsi alla speranza. Proprio come nelle favole, di cui Kaurismäki è diventato il vero creatore cinematografico. (…) Ridotta (…) all’osso la trama sembra solo un canovaccio, ma è lì che il regista (che come sempre firma da solo anche la sceneggiatura) innesta le sue gag, le sue riflessioni e le sue speranze. Ai suoi fan regala un’apparizione di Kati Outinen, protagonista di tanti suoi capolavori. In partenza per Città del Messico (…), a tutti gli altri offre l’occasione di riflettere sulle condizioni degli immigrati, sulle violenze dei razzisti (ce ne sono anche nel film), sulla generosità dei poveri e degli emarginati con un cinema politico che rifugge da tutti i luoghi comuni del genere. Non c’è mai una predica nei film di Kaurismäki, una tirata moralista o il rischio del manicheismo. C’è solo uno sguardo sorprendentemente illuminante, capace di aiutare lo spettatore a vedere come le cose possono essere modificate con un sorriso, una risata un po’ malinconica o l’improvvisa irruzione di un colpo d’ala surreale. C’è la poesia di un autore che continua a possedere il segreto di una grazia contagiosa, quella di un cinema capace di raccontare la realtà senza abdicare ai sogni.
Paolo Mereghetti – Corriere della Sera

L’ultimo erede di Charlie Chaplin, e probabilmente l’unico, è nato in Finlandia, si chiama Aki Kaurismäki e fa un film ogni 2-3 anni, ma ogni volta cattura un pezzetto del nostro presente in forma di fiaba comica, proprio come l’immenso Charlot, anche quando maneggia temi tragici. Al centro dell’applauditissimo ‘The Other Side of Hope’, altro titolo da premio, ci sono infatti due personaggi che si incrociano solo a metà film. (…) Kaurismäki è un campione assoluto di economia narrativa: luci, gesti, inquadrature, espressioni, tutto è sempre misuratissimo e insieme irresistibile (…). Sappiamo subito che questi due tipi strambi, il marito in fuga e il migrante arrivato col carbone, faranno un pezzo di strada insieme, anche se perché si incontrino dando vita a una di quelle piccole e utopiche comunità di marginali che sono la specialità di Aki (…) Khaled, sempre grazie alla strepitosa economia espressiva di Kaurismäki, tra una peripezia e l’altra ci ricorda con quanta dignità un uomo può evocare il destino tragico di migliaia e migliaia di altri profughi senza mai sfiorare il patetico o il ricattatorio. È qui che il grande regista finlandese è davvero a suo modo chapliniano. Il lungo dialogo in cui Khaled racconta cosa è successo alla sua famiglia ad Aleppo senza muovere un muscolo di troppo, non è solo una lezione di cine-morale. È un modo per rimettere ordine nel caos quotidiano che ci anestetizza. Restituendo un volto, uno sguardo, un senso a parole ormai logorate e astratte come Migranti, Guerra, Libertà. Proprio come faceva Chaplin, anche se Kaurismäki non racconta l’esplosiva nascita della modernità ma la sua lenta, tragica fine. Che ci restituisce con timing implacabile e insieme infallibile, ma senza mai perdere una segreta speranza.
Fabio Ferzetti – Il Messaggero

Quando sembra che non ci si possa più proteggere dallo spettacolo degli orrori del mondo, quando le immagini di violenza, sopraffazione, dolore ci sovrastano attraverso media e social network, quando proteste e denunce hanno la stessa potenza di armi scariche, allora è il momento di vedere un film di Aki Kaurismäki. Non perché il regista finlandese scelga un cinema di puro intrattenimento, al contrario. Kaurismäki non ha mai smesso di dialogare con il mondo esterno, ma ha scelto di raccontare ingiustizie e misfatti a modo suo, con leggerezza e poesia, senza accuse, polemiche, rabbia e facili giudizi, sempre attento a una umanità fragile, ma capace di mettersi all’ascolto dell’altro, di comprendere, di accettare e amare. Molti connazionali detestano il regista per come si vedono rappresentati nei suoi film, ma il pubblico internazionale lo ama e i festival lo inseguono, come la Berlinale che ha infatti scelto il suo ‘The Other Side of Hope’ (L’altra faccia della speranza) per la competizione. E gli spettatori, addetti ai lavori compresi, lo hanno accolto con un entusiasmo finora riservato a nessun altro titolo. (…) anche con questo film si ride, e moltissimo. La vicenda, costellata di canzoni blues e rock, ruota intorno a un incontro destinato a cambiare la vita di un gruppo di persone, stralunate e laconiche come tutti i paradossali e impassibili personaggi di Kaurismäki.
Alessandra De Luca – Avvenire

‘The Other Side of Hope’ (…) è una scommessa che sulla carta era rischiosissima. Cos’avreste commentato (…) se vi avessero detto papale papale: Aki Kaurismäki fa un film sui rifugiati siriani? Perché questo è ‘The Other Side of Hope’! Il regista finlandese ha già parlato altre volte di ‘temi sociali’, di quella cosa misteriosa che chiamiamo ‘attualità’; anche in ‘Miracolo a Le Havre’ c’erano dei migranti, ma l’attenzione al ‘sociale’ era sullo sfondo. Qui, invece, è in primissimo piano, al punto di girare metà film in centri di accoglienza e stazioni della polizia. Kaurismäki prende il tema, elegge a coprotagonista un rifugiato siriano ma lo racconta esattamente con i suoi toni, con il suo stile: le scene in cui quest’uomo deve confrontarsi con la burocrazia finnica sono terribilmente realistiche e al tempo stesso sono puro Kaurismäki, perché Kaurismäki è il cineasta che più si avvicina a Kafka nel descrivere i meccanismi della vita con un tono al tempo stesso surreale, ironico e terribilmente concreto. Poi, l’idea geniale: per mezz’ora l’odissea del siriano è raccontata in parallelo a un’altra odissea, quella di un signore benestante che molla la moglie, taglia i ponti con il passato, si guadagna un po’ di contanti in una partita a carte che vale l’Altman di ‘California Poker’ (e pensateci un attimo: chi ha più ‘poker face’ dei personaggi di Kaurismäki?) e infine acquista un ristorante dove lavorano altri tre o quattro scoppiati. A un certo punto il siriano arriva al ristorante, e le due storie si uniscono. Prendere il tema dei temi, in questa nostra Europa, e farne un film tenero, buffo, triste e personalissimo è cosa che può riuscire a pochissimi. Aki è uno di quei pochissimi.
Alberto Crespi – L’Unità

‘The Other Side of Hope’ (…) ritorna sulla relazione che era già al centro del precedente ‘Miracolo a Le Havre’, quella cioè tra l’Europa e i migranti che arrivano qui costretti a fuggire dolorosi vissuti di guerra, miseria, violenza. E lo fa nello stile di Kaurismäki, in quell’oscillazione che già il titolo sembra suggerire tra il mondo come è e come lo vorremmo, il «suo» mondo di regista in cui l’utopia, il fiabesco mettono a nudo con precisione i paradossi della realtà – che è poi la forza del cinema, la sua potenza politica e di consapevolezza. È in questa «distanza» che Kaurismäki negli anni ha inventato una Finlandia fuori dal tempo, un paesaggio interiore popolato da figure stralunate, buffi sognatori, giocatori di azzardo, musicisti rock e folk al centro delle sue inquadrature limpide che arrivano all’essenza delle cose. (…) Kaurismäki sa magnificamente guardare il nostro tempo continuando a inventare un’immagine che anche nel confronto con un tema di «attualità» sorprende lo sguardo lievitando nel suo tocco sempre esilarante. Senza retorica da «buone coscienze», la sua poetica cattura i paradossi del presente con umorismo, comicità, sentimento. Non ci sono tante spiegazioni se non che da qualche parte esistono delle persone che si aiutano come possono. Sono scelte piccole, prive di enfasi, che pure diventano gesti di grande rottura rispetto all’indifferenza, alle assurdità di leggi, confini, trattati politici, interessi dei potenti. Lì, nella sala scassata del ristorante La pinta d’oro una rete di «solidarietà» diventa possibile, anche se questo non significa che tutto il male sparisca. È un primo gesto, qualcosa da cui ripartire: l’altro lato di una speranza che è quasi come una rivoluzione.
Cristina Piccino – Il Manifesto

E’ sempre il mondo della modernità morbidamente disintegrata di Aki Kaurismäki: persone solidali di un perduto umanesimo, una vecchia limousine nera e una radio anni ’50, colori pop tenui in interni freddi, facce d’altri tempi e ironiche bische, tra truci naziskin, smartphone, grattacieli, auto e una quotidiana, finnica malinconia nella quotidiana universale corruttela spiccia. (…). Film politico, di poesia e ironia nell’impasto attualizzato di Capra e Chaplin, sorta di dittico con l’altro titolo portuale ‘Le Havre ‘, è il più esposto sull’Europa di oggi secondo Kaurismäki (…).
Silvio Danese – Nazione-Carlino-Giorno

Una favola «surreale» (pur essendo piena di realtà) che ha meritato l’Orso d’argento all’ultimo festival di Berlino. La seconda opera di una trilogia sull’immigrazione (ricorderemo tutti probabilmente «Miracolo a Le Havre») che fa ancora colpo grazie a quel tocco di poesia frammista all’ironia che difficilmente riusciremo a trovare ancora sul grande schermo. Grazie al genio del regista finlandese la storia vuole, come lui stesso ha dichiarato, «mandare in frantumi l’atteggiamento europeo di considerare i profughi o come delle vittime che meritano compassione o come degli arroganti immigrati clandestini a scopo economico che invadono le nostre società con il mero intento di rubarci il lavoro, la moglie, la casa e l’automobile». Ci riesce lasciando allo spettatore, però, quel senso di malinconia per qualcosa che alla fine è molto difficile da realizzare. Soprattutto v’è sempre un prezzo da pagare. Perché gli eroi, se vogliono essere tali, devono in qualche modo patire quando c’è qualcuno da salvare. Il siriano Khaled, mentre fa l’elenco delle sue dolorose traversie, ricorda così le persone per bene che l’hanno aiutato. Tanti «buoni samaritani» (veri volti della speranza) da cui prendere esempio, dentro una società che cerca spesso, purtroppo, di eliminare gli umani così «diversi» e in difficoltà.
Gianluca Bernardini . www.saledellacominità.it