Dal 9 al 12 novembre al Sanfelicinema

novembreLocandina italiana Blade Runner 2049

Giovedì 9  ore 21,15
Venerdì 10 ore 21,15
Sabato 11 ore 15,30 e 21,15
Domenica 12 ore 21,15

Fantascienza,
Usa 2017
di Denis Villeneuve.
Con Ryan Gosling, Harrison Ford, Ana de Armas, Robin Wright,
Durata: 2 ore e 32’.

Sequel del film del 1982 che ripropone i replicanti. Sono loro il futuro cercato dall’uomo? Un grande e spettacolare film per aiutarci a scegliere.

LA CRITICA DEL FILM

Bisognerebbe introdurre il termine «meta-sequel» per sintetizzare al meglio questo nuovo capitolo cinematografico di ‘Blade Runner’ ambientato nel 2049, che continua la storia iniziata nel 1982 (ma ambientata nel 2019) dal film di Ridley Scott, con tanto di ritorno in scena del suo protagonista Rick Deckard (sempre interpretato da Harrison Ford), ma lo fa con un altro atteggiamento, più filosofico che fantascientifico, quello che appunto spiega l’aggiunta dell’apposizione «meta». Soprattutto lo fa recuperando in pieno la lezione del romanziere all’origine di tutto, quel Philip K. Dick che con i suoi libri aveva allargato i confini del cinema di fantascienza aprendolo a vertigini metafisiche fino ad allora inedite. (…) Villeneuve sembra preoccupato soprattutto di scavare dentro le pieghe filosofiche (altro aggettivo non si adatta meglio) di un mondo che interroga l’uomo sui limiti e le specificità della propria umanità. (…) il regista sceglie uno stile rarefatto e ipnotico, che chiede di abbandonarsi a un percorso che recupera il ricordo dell’opera precedente ma lo adatta alle nuove esigenze.
Paolo Mereghetti – Corriere della Sera

Possiamo dire (…) che ha ragione ‘Variety’ quando sostiene che il film deve molto di più al cinema di Andrej Tarkovskij che alla rivoluzionaria visione cyberpunk di Scott. I tempi sono talmente dilatati e in controtendenza rispetto alla velocità del montaggio di oggi da sfidare lo spettatore con scene lunghissime. Ma la ragion d’essere di ‘Blade Runner 2049’ (…) sta proprio qua. Al 2019, anno in cui è ambientato il ‘Blade Runner’, mancano solo quindici mesi e la Los Angeles di Scott è ancora futuristica, insuperata da tutti gli altri film di fantascienza che hanno provato a immaginare la vita su una Terra devastata dai cambiamenti climatici. Villeneuve dunque rinuncia a competere con la topografia dell’originale e conserva la città così come la conosciamo, ma sposta spesso l’azione negli spazi aperti e sovverte alcuni degli elementi del genere noir immergendo i personaggi in una luce ambrata e fluorescente. Come ha già dimostrato con ‘Arrival’, in cui raccontava di un’invasione aliena, Villeneuve usa i generi, anche quello fantascientifico, per riflettere sulla condizione umana. E per farlo si prende tutto il tempo di cui ha bisogno. Chi siamo? Qual è il nostro scopo in questa vita? In cosa crediamo e per cosa lottiamo? Il regista insiste su questo aspetto filosofico e introspettivo, moltiplicando le domande esistenziali e adattandole alla nuova complessità del presente in cui il tema dell’identità non può che essere affrontato in maniera meno schematica rispetto a trentacinque anni fa. In altre parole, qui non basta chiedersi «sono un uomo o un replicante?». (…) Sulle note elettroniche di Benjamin Wallfisch e Hans Zimmer, che solo occasionalmente rievocano la colonna sonora originale firmata da Vangelis, Villeneuve disegna con sofisticata eleganza un mondo post-digitale (…). Allo spettatore non servirà un ‘ripasso’ del film del 1982, solo la voglia di abbandonarsi con fiducia a una narrazione estranea al genere fantascientifico o d’azione, ma vicina al cinema di un autore che impastando tragico e romantico prosegue la sua ricerca sull’uomo e il suo misterioso cammino.
Alessandra De Luca – Avvenire

‘Blade Runner 2049′ non è il sequel dell’altro (forse ce ne sarà uno di questo) e nemmeno lo spin off, non cerca neppure di ripeterne le dinamiche pure se vi sono omaggi evidenti, atti d’amore per quello che è stato, anche nella formazione di Villeneuve, un colpo di fulmine, e con la sua mitologia, accresciuta dai finali diversi fino al Final Cut dello stesso Scott, ha pennato non solo il cinema ma le mode, fashion, look, fumetti, musica, battute – «Ho visto cose che voi umani non potreste immaginarvi» – come diceva il replicante Roy Batty-Rutger Hauer prima di morire. E non si lascia nemmeno tentare da un’operazione vintage nostalgia, se non nel decor dei luoghi dove vivono i vecchi replicanti in cui troviamo persino vecchie macchine da cucina a gas. Però all’originale il film di Villeneuve è legato, e non solo per la presenza di Harrison Ford (…) Quello che accade nel film di Villeneuve è un passaggio tra le generazioni, una sorta di spostamento dell’orizzonte attraverso il protagonista giovane, l’agente K (Ryan Gosling) (…). Los Angeles è sempre buia, e acquatica, le strade sono appena illuminate dalle stesse insegne luminose con le ragazze replicanti dai grandi occhi verdi che offrono piaceri, quell’iconografia «bladerunneriana» che ha lasciato (pure troppo) la sua impronta anche se visivamente – la fotografia è di Roger Deakins – Villeneuve usa con sapienza tutto ciò che può delle nuove tecnologie. (…) Se la specularità nel primo tra i replicanti e gli umani era il punto di scontro politico, la «guerra» qui si sposta interamente sul piano esistenziale focalizzandosi su di loro, i replicanti, come se gli umani non esistessero già più. È questo desiderio la rivolta in chi senza memoria e passato dovrebbe essere una superficie liscia e invece pulsa scosso da una violenza o dalla dolce malinconia di un’assenza (…). Ci sono certo nel film i rimandi al nostro tempo, le devastazioni climatiche, l’ambiente, le multinazionali che creano cibo sintetico distruggendo il mondo- la vecchia società che costruiva i replicanti è stata sostituita da una nuova, più crudele verso le sue creazioni (il capo è Jared Leto) e totalizzante . Forse è per questo che sono sentimenti a diventare «politici» (vale un po’ anche nella narrativa presente no?) con la ricerca di una condizione unica contro quel controllo che aspira a invadere ogni angolo della mente del cuore del corpo, della vita. Padri e figli, è questo il terreno su cui gioca la sua scommessa Villeneuve: la trasmissione, la costruzione di un’altra storia possibile, il passaggio oltre i generi (e non solo replicanti/umani) di un’esperienza che può essere di nuovo rivoluzionaria . Lo stesso desiderio che fluisce oltre il tempo e che fa di questo ‘Blade Runner 2049’ un film contemporaneo, e forse del futuro un’invenzione ancora possibile.
Cristina Piccino – Il Manifesto

(…) una straordinaria esperienza visuale (…) in cui a ogni inquadratura corrisponde un’idea, un’intuizione, un rimando letterario e anche filosofico (…). Ispirato, come il primo titolo, al romanzo di Philip K.Dick (…) ‘Blade Runner 2049’ è gravato da un’aura cupa e disperata, in linea con il clima della nostra contemporaneità. La speranza, ancora una volta, è solo nell’amore, tra un maschio e una femmina, tra un padre e un figlio, tra un essere umano o qualcosa che gli assomigli, tra chiunque riesca a vivere passioni capaci di infrangere le regole. (…) Il regista Villeneuve ha vinto la scommessa (…).
Fulvia Caprara – La Stampa

Il grande cinema è quello che reinventa la visione degli spettatori attraverso la camera e lo sguardo di chi gira: e così avviene in un film che, sin dalle sequenze iniziali (…), lascia intravedere l’esistenza di un’opposizione (o di una non coincidenza) tra l’apparenza e la realtà che si è fatta virtuale. Una delle tante anticipazioni che ne fanno un film passaporto per l’ingresso dello spettatore nella temperie postmoderna, dove la soggettività e la razionalità dell’individuo sono entrate irreversibilmente in crisi. E dove la tecnologia domina al punto da dissolvere le differenze tra organico e artificiale, scaraventandoci nella dimensione del postumano, quella incarnata dai replicanti, a volte più umani di quegli umani che si aggirano come monadi isolate (e desolate) sullo sfondo di una megalopoli californiana dark e angosciante, trasfigurata dal tecnobiocapitalismo. (…) non ci resta che scoprire, seduti in sala, se il nuovo ‘Blade Runner 2049’ – prodotto dallo stesso Scott, a certificare il timbro «doc» e la sua benedizione all’operazione – saprà imprimere un’ulteriore svolta visiva alla nostra condizione (ormai divenuta, nel frattempo) post-postmoderna.
Massimiliano Panarari – La Stampa

L’atteso seguito di ‘Blade Runner’ esibisce bene, benissimo quel che il cinema è diventato dal 1982 fin qui: bello senz’anima. Nel migliore dei casi, s’intende. Dirige Denis Villeneuve, e Ryan Gosling, l’impassibile, ineffabile Ryan Gosling, è il suo profeta: il nuovo ‘Blade Runner’ replica a soggetto, anzi, replica un soggetto, è un simulacro, la copia di un originale mai esistito. Purtroppo, si fa per dire, quell’originale è esistito, l’abbiamo visto e rivisto nelle sue infinite versioni (final e director’s cut), e ancora non ce lo leviamo dagli occhi e, non esageriamo, dal cuore: ‘Blade Runner’ aveva l’aura, ‘Blade Runner 2049’ no. Il follow-up di Villeneuve è inferiore alla somma delle sue parti, è tante ottime cose, ma non è un capolavoro, forse nemmeno un grande film. Forse è solo eccelsa riproduzione tecnica. (…) Basta un sontuoso apparato visuale, un superbo proscenio visivo a farci sentire nostro quel che provano o, meglio, fanno i personaggi? Che cosa proviamo, sentiamo, sogniamo con ‘Blade Runner 2049’? A differenza di quanto non accada a K, Denis Villeneuve non (ci) dimostra di aver fatto proprio, ovvero di sentire, le emozioni originariamente provate e offerte al pubblico da RidleyScott, e non perché vari a tal punto sullo spartito da sconfessare il ‘Blade Runner’ del 1982, ma perché non ci crede – né ci fa credere – mai. Superficiale e bello, epidermico e bellissimo, giammai epico, patetico, poetico: Denis Villeneuve conferma la cifra principale del suo talento, la versatilità; il direttore della fotografia Roger Deakins troverà probabilmente la quattordicesima candidatura agli Oscar e, finalmente, la prima statuetta; Gosling ribadisce che quando si tratta di non muovere un muscolo facciale e incassare non ha eguali. E più non dimandare. (…) Harrison Ford (…) mai è apparso così sensibile, empatico e bravo come qui: merito suo o, anche, demerito altrui? Relitto o reliquia che sia, ha un diapason che gli altri nemmeno si immaginano, figurarsi sognare: il Blade Runner del 1982 è la cosa migliore del Blade Runner del 2017, o 2049 che dir si voglia, e non servirebbe aggiungere altro.
Federico Pontiggia – Il Fatto Quotidiano

(…) ‘Blade Runner 2049′ è un po’ gravato dall’insistenza di Villeneuve sui tempi circolari, opprimenti, addirittura aumentati rispetto al film di Scott, per non perderlo, per non cancellarlo (le lunghe sequenze di Jared Leto, il bieco fabbricante di replicanti cieco). Ma è anche un raro caso di sequel ben annidato nel sistema di successo dell’originale. Ritrova e rilancia i personaggi in un neo-design apocalittico impressivo, dalle scenografie ibride di Dennis Gassner alla fotografia matematica di Roger Deakins (…). Goslin, sempre un po’ preso da paturnie e fissità, è una buona soluzione per concentrare nell’interiorità dubbi ed emozioni inconfessabili. Rievoca bene Ford, anche lui attore di poche mosse ben valorizzate. Poteva essere un disastro. Invece è un bel ritrovarsi intorno al totem dei decenni passati.
Silvio Danese – Nazione-Carlino-Giorno

È un buon sequel perché replica con affetto speciale gli ingredienti del primo menu liberamente tratto dalla fantascienza letteraria di Philip K. Dick: tempo inclemente (dall’eterna pioggia ispirata alla Londra di Scott si passa alle bufere di neve familiari al canadese Villeneuve), gadget futuristici (il simulacro dell’intelligenza artificiale casalinga in grado di ‘sintonizzarsi’ dentro il corpo di una prostituta in carne ed ossa genera una innovativa scena di sesso a tre), scienziati presuntuosi (dall’occhialuto Tyrell al giovane e monacale Wallace di un petulante Jared Leto) e un protagonista investigatore privato nonché provato da eventi, e replicanti, in grado di metterlo in crisi moralmente e non solo. Le quasi tre ore reggono (tranne per venti minuti finali caotici in sceneggiatura) mentre la musica più affascinante è quella di ieri ovvero un recupero di uno dei temi storici del soundtrack composto 35 anni fa da Vangelis. Fotografia eccezionale di Roger Deakins (…). Chiudiamo sugli attori: Gosling accessorio, e un po’ troppo imbambolato, mentre Ford più pimpante del solito e più coinvolto emotivamente rispetto a ‘Star Wars: Il risveglio della Forza’ in cui si vedeva che timbrava il cartellino e basta. La sensazione forte è che non ci fermeremo qui. Per ‘Blade Runner 2049’, in poche parole, non è tempo di morire.
Francesco Alò – Il Messaggero

Ryan Gosling nei panni del neo-replicante senza nome ‘agente K’ si confronta alla pari, per fissità e per statura iconica, con il predecessore (che in realtà appare poco). Le grandi intuizioni di design, di scenografia, di look dell’impasto vintage-avveniristico che tanto contarono per il culto dell’originale, sono state appunto già inventate allora. E il pur suggestivo e anzi fastoso impianto del sequel non aggiunge molto. Ritorna uno degli sceneggiatori, Hampton Fancher, e torna Scott come produttore esecutivo. Amara ironia: le innumerevoli traversie che impedirono a Scott di dare al suo film la durata che egli avrebbe voluto non hanno impedito al sequel di allungarsi oltre le due ore e mezza.
Paolo D’Agostini – La Repubblica

Piacerà ai fan di Philip Dick l’autore del racconto originale. Gli unici a sollevare obiezioni sul classico del 1982 (tacciato di infedeltà al testo). Il ‘Blade 2049’ è (almeno apparentemente) più attaccato al racconto. Anche se il regista Villeneuve lo infioretta di ologrammi che in Dick non c’erano. Ma piacerà parecchio anche a chi era stato catturato nel 1982 dalle fascinose immagini e dalle scioccanti scene d’azione. Villeneuve non delude. Gira come Ridley Scott ai bei tempi e come Ridley ormai non sa più fare. La Città degli Angeli, benché in teoria bonificata, è nelle sue mani un girone infernale anche peggiore. E le caccie, i duelli sono sensazionali (grande idea quello della rissa tra K e Deckard al ritmo di una canzone di Presley). Gioia per gli occhi e per le orecchie, il nuovo ‘Runner’ è persino ottimista. Da quell’inferno l’umanità uscirà. Forse.
Giorgio Carbone – Libero

In America hanno gridato al capolavoro, definendolo straordinario. E anche in Italia, i colleghi che lo hanno visto si sono sciolti in peana che neanche per un film Oscar si sono letti. Meritati? De gustibus non est disputandum. Però, qualche osservazione critica va fatta, a beneficio del lettore, per farlo arrivare preparato ad uno dei seguiti più attesi (anche troppo) della storia cinematografica. Prima di tutto, il regista Denis Villeneuve chiede di non rivelare le «svolte» presenti nella trama. In pratica, ci obbliga a non raccontare il film, forse sperando, così, di non scoraggiare, anzitempo, una parte del pubblico, perché ci sarebbe molto da dire su alcune scelte della sceneggiatura. (…) Villeneuve è quello del filosofico sci-fi ‘Arrival’ e le atmosfere in ‘Blade Runner 2049’ sono le stesse, pur visivamente meravigliose. Tanti i temi trattati, come il morire per una giusta causa, la cosa più umana che si possa fare. Hanno pescato pure da ‘Ghost’, per un film che piacerà certamente ai fan, un po’ meno agli altri. Attenzione, poi, che è obbligatoria la visione del primo ‘Blade Runner’, altrimenti questo seguito diventerà incomprensibile nei suoi sviluppi.
Maurizio Acerbi – Il Giornale

(…) Blade Runner 2049 è un film stupendo. Capace di catturare fin dalla prima inquadratura (…) Non un puro sequel ma una reinvenzione, ricca di creatività. E di valori. (…) “Blade Runner” è stato una rivoluzione. Ha fuso due generi, fantascienza e noir, che non sembravano viaggiare insieme”, spiega Villeneuve. “Qualcosa di mai visto, che mi ha profondamente influenzato prima ancora che pensassi di diventare regista. Ridley ed io volevamo rispettare la visione di Philip K. Dick”. Missione riuscita.

Maurizio Turrioni – Famiglia Cristiana