Dal 4 al 7 gennaio al Sanfelicinema

gennaioLocandina italiana The Big Sick

Giovedì 4
Venerdì 5
Sabato 6
Domenica 7

Ore 21.15 sempre,
Domenica anche ore 16.00

Commedia,
USA, 2017
Di Michael Showalter.
Con Kumail Nanjiani, Zoe Kazan, Holly Hunter.
Durata: 1 ora e 59’.

Vera storia d’amore con emozioni, risate e pensieri di prima qualità.

LA CRITICA DEL FILM

Non è strano che tutta l’America, partendo dal Sundance, sia impazzita per la commedia romantica ‘The Big Sick’ (…): produce emozioni, risate e pensieri di prima qualità. Perché questa del pachistano che sposa la bionda yankee studentessa di psicanalisi contravvenendo alle radici di due culture, l’islamica e la wasp, è tutta vera: il protagonista, Kumail Nanjiani, racconta la sua vita e nient’altro nel film che ha scritto con la moglie Emily Gordon dopo una vita di gavetta in tv fino al successo di «Silicon Valley» in ruolo nerd. (…) L’originalità del film sta nel fatto che sorridendo parla di verità: il sospetto con cui gli americani guardano gli islamici (e con Trump il peccato è in ascesa) ma anche il contrario, perché in Pakistan sono i genitori a combinare matrimoni. Prima che Kumail sposi la sua bella (è Zoe Kazan, che ha decisamente ereditato qualcosa dal grande nonno, il regista Elia) il film deve far crollare come al bowling i birilli di razzismo, ipocrisia, pregiudizio. E c’è una andata e ritorno sentimentale che prevede anche lo stop mélo in ospedale (anche questo è vero, grave malattia). Il baricentro del film è Kumail che si sente americano ma deve obbedire alla tradizione pachistana e alla fine non è accettato da nessuno dei due Paesi (…). Seguendo la tradizione di decine di love stories inter razziali, il film di Michael Showalter entra nella casa pakistana della mamma chioccia che cerca la nuora del Paese suo, mentre l’altra mamma (la bravissima Holly Hunter, caleidoscopio espressivo) viene col marito dal North Carolina per curare la figlia e scoprire un genero inaspettato. Questo strano rapporto a tre è raccontato con inusuale tenerezza, senza perdere l’humour nelle corsie ma neppure una certa malinconia in saldo. Il miracolo è che da una storia vera al i00% (vera Chicago, vero il locale dove debuttò Bill Murray) viene fuori un film che al 100% rispetta anche le convenzioni del cinema che indovina da anni chi viene a cena. (…) Super happy end, lacrime indù, ok. Ma la forza del film è Kumail, col viso a punto interrogativo, personaggio liberal ma non accomodante, ideale per assorbire le due valenze e violenze del racconto che ha un centro melò ma non rinuncia mai alla battuta: ‘sick’ vuol dire malattia ma anche barzelletta. L’abilità è farne una parola sola.
Maurizio Porro – Corriere della Sera

Ci sono dei film che ti riconciliano con il cinema. Cinema come piacere, come leggerezza, come sorpresa. Forse non saranno capolavori (ma quanti ne vediamo davvero?) eppure sanno restituirti quel gusto e quella soddisfazione per una «pratica» – andare al cinema – che troppe volte è stata umiliata e offesa. E proprio da altri film, pronti a promettere cose che poi non sapevano mantenere. ‘The Big Sick’, invece, non delude, anzi finisce per regalare anche qualche piacevole spunto di riflessione (sull’identità, sulla determinazione, anche sull’amore) e soprattutto la sensazione di non aver sprecato il proprio tempo in un cinema. Come rivelano le fotografie che accompagnano i titoli di coda lo spunto del film, diretto con spirito di servizio da Michael Showalter, è parzialmente autobiografico (…). Temi seri, che però il film affronta con una leggerezza e un’autoironia che conquistano. La storia del film prosegue sfiorando anche la tragedia (…) ma conservando sempre un tono come sospeso, di chi non vuole cedere alle ipotesi più pessimiste e usa il sorriso per smontare il dramma. Che è la chiave della comicità del personaggio Kumail e che in certi momenti sembra una specie di Forrest Gump: non per la mancanza di dubbi e l’ingenuità del personaggio reso celebre da Tom Hanks, ma piuttosto per la testarda fiducia in un ottimismo capace di lenire le ferite e dare ogni volta l’energia per ricominciare. Possibilmente con la voglia di trovare anche una piccola ragione per sorridere.
Paolo Mereghetti – Corriere della Sera

(…) è un tipico prodotto della ‘factory’ di Judd Apatow, il mitico produttore e regista (ma non qui) cui si deve il meglio della commedia americana degli ultimi anni. Lo si riconosce per come sa amalgamare la comicità con una vena di malinconia (e, dirà forse qualcuno, con una dose omeopatica di furbizia); il tutto su un fondo sentimentale ben attento a non diventare mai sentimentalismo. Questa volta, però, c’è una nota in più. In modo sorridente, ma non banale, il film invita anche a riflettere sui tabù ancora ben radicati nella cosiddetta società globalizzata. In versione bilaterale. (…) Anche le scene riguardanti lo shock culturale tra i due protagonisti, sospese tra dramma e umorismo, sono piuttosto felici. Più scontati, ma divertenti, gli episodi degli incontri combinati tra Kumail e le ragazze pakistane convocate dai suoi, che si ripetono a tormentone come è d’uso nel repertorio della commedia di situazione. (…) Unico neo una lunghezza eccessiva con finale un po’ diluito; che però, come sanno i fan, è un altro marchio di fabbrica delle produzioni Apatow. D’obbligo spendere qualche parola sul cast. Se Emily si avvantaggia della faccina spiritosa di Zoe Kazan, nipote del grande regista Elia, il suo partner Kumail Nanjiani non ha problemi a conquistarsi le simpatie dello spettatore, che si augura di rivederlo presto in altri film. Ma sono addirittura impagabili, nei ruoli dei genitori della ragazza, Ray Romano e – soprattutto – Holly Hunter (…).
Roberto Nepoti – La Repubblica

C’è un evidente vissuto in prima persona, nella vicenda di Kumail ed Emily, un percorso artistico e di vita che vede i due sceneggiatori di The Big Sick, i coniugi Kumail Nanjiani ed Emily Gordon, immettere se stessi nella finzione cinematografica (lui indossando anche i panni del protagonista del film, lei lasciando la parte all’attrice Zoe Kazan), facendo ritrovare allo spettatore una freschezza genuina di situazioni e contesti, arricchita da un’efficace spontaneità dei dialoghi, pimpanti e talvolta caustici. Basato dunque su una storia vera, il tragitto realmente compiuto dalla coppia viene così restituito, sullo schermo, in una commedia romantica con sottofondo interraziale che non fa fatica ad imporsi sullo spettatore per brio e spigliatezza: tipico prodotto indie, che ha spopolato al Sundance e a Locarno ha vinto il premio del pubblico, The Big Sick è un film racchiuso in angusti spazi fisici (il club dove si esibisce Kumail, il soggiorno dove pranza la sua famiglia, la camera dell’appartamento dove egli vive, la stanza d’ospedale dove è ricoverata Emily…), ma aperto sentimentalmente al mondo, spalancato su un contagioso happy end grazie ad un amore cristallino, capace di colmare ogni lacuna. Un amore su cui il film di Michael Showalter sparge forse un po’ troppo zucchero a velo, addolcendo sentimenti già ben percepibili nella loro limpidezza, ma lasciando che, in numerose sequenze, sotto la scorza della romantic comedy affiorino le tensioni multietniche, un disagio esistenziale che non fa distinzione tra i colori della pelle, una ricerca di affermazione (la ribalta teatrale per lui, un lavoro da psicologa per lei) che nel Paese delle mille opportunità, se fallita, si trasforma in pericolosa emarginazione. È lì che The Big Sick trova la sua forza motrice, nel rivestire di leggerezza l’amarezza, nel generare sorrisi dalle inadeguatezze. Non solo quelle dei due giovani, ma anche (come in East is East, pellicola a cui il film di Showalter si richiama per lo stesso tema dei matrimoni combinati imposti dalla secolare tradizione pakistana) quelle dei genitori della ragazza. Anch’essi, persin più di Kumail ed Emily, bisognosi di affetto.
Paolo Perrone – www.saledellacomunita.it

‘The Big Sick’, di Michael Showalter, si è lentamente fatto strada come uno degli autentici successi dell’anno (…) e uno dei film che meglio soddisfano le pulsioni dello zeitgeist -una commedia romantica contro i pregiudizi (di razza e cultura), tratta dalla biografia del comico pachistano Kumail Nanjiani (…), che firma la sceneggiatura, insieme a sua moglie, Emily Gordon, ed è anche il co-protagonista. ‘The Big Sick’ è prodotto da Judd Apatow e dell’universo apatowiano riflette molto bene il Dna generazionale, la tensione umanista e autobiografica, la centralità dei rapporti di coppia e dell’universo domestico, e l’amore profondo per il backstage della commedia stand up (anche se non nella dimensione nevrotica e dark esplorata da Apatow nel suo lavoro tutt’oggi più interessante, ‘Funny People’). È un film, come molta produzione indie lanciata dal Sundance, che mette l’accento sull’attore e sulla sceneggiatura, piuttosto che sulla ricerca formale. (…) Assorbita la lezione di Apatow, Nanjihani e Showalter non hanno paura di confrontarsi con i peggiori istinti umani, convinti però che, alla fine, sono sempre quelli migliori a vincere.
Giulia D’Agnolo VallanI – Il Manifesto

Love story piena, al gusto di caramelle al miele. Che prima di spuntarla come tale, però, si deve misurare con intoppi urlanti e grifagni (…). Amore, crisi, coma, risveglio, ancora crisi e poi. Se l’happy ending è scritto nella storia vera, il film riesce a farcelo sudare parecchio, perfino nel suo percorso classico, che dialoghi e sortite di battuta rendono elastica e piumosa: anche nelle fasce di maggior tensione, dove il dramma potrebbe prendere il largo ma s’arresta sull’ingegnosa insolente capacità di divertire – e con che garbo – anche quando le cose sembrano precipitare. Insomma cadute e risalite, in un trip incredibilmente stipato d’amore, di sventure, d’ironia e repentine tenerezze, che tra l’altro un regista proveniente dal circuito sketch comedy come Michael Showalter riesce a mettere in scena suonando anche le proprie corde, ottenendo di far ridere e piangere nei giusti fuggenti attimi. Che dire. Corretto e ponderato perfino il consumo della musica, non invasiva malgrado un soundtrack di quasi 40 brani inseriti nel soffice contesto tra country, indie rock e pop, reggae vintage e colonna originale di un compositore top come Barnaby Taylor.
Claudio Trionfera – Il Messaggero

In «The Big Sick» (…) Hunter conferma ancora una volta il suo talento insieme alla verità acclarata secondo cui si può colpire l’attenzione del pubblico anche con un ruolo marginale.
Fulvia Caprara – La Stampa

Fenomeno dell’estate Usa (…), ma che cos’ha di speciale? Un amore impossibile per il quale parteggiamo fino in fondo, nonostante i due o tre finali di troppo, corrispondenti alla storia vera dell’attore protagonista, il pakistano Kumail Nanjiani, sceneggiatore che timbra col nome il personaggio. (…) Strappalacrime? Macché. (…) Battute su immigrazione e Isis, cast soft brillante. Finalmente non una romantic comedy ossessionata dal ritmo. Produce il Judd Apatow di ‘Molto incinta’ o ’40 anni vergine’. Questo però è meglio.
Nazione-Carlino-Giorno

(…) deliziosa commedia in agrodolce. (…) Vedere per ridere.
Massimo Bertarelli – Il Giornale

Anche se sprovvisto di vistosi richiami per il nostro pubblico, «The Big Sick» è un film abbastanza divertente che dispone le spigolose pedine delle nuove conflittualità interetniche su una tavolozza vivida ed eterogenea. Motivato dalla biografia del comico pachistano Kumail Nanjiani e dalla sceneggiatura scritta dallo stesso in coppia con la moglie Emily Gordon, il regista Showalter vi mette in bella posa un bel numero di personaggi e rispettivi caratteri riuscendo spesso a governare un ritmo in grado di conferirgli estro, irriverenza e freschezza. Finalmente svincolata dalla maniera divenuta arcigna e stizzosa dei precursori britannici anni Ottanta e Novanta alla Frears o Kureishi, la commedia apprezzata nei festival arcicinéfili di Sundance e Locarno riesce anche nell’impresa di scherzare quando si ritrova inopinatamente ad affrontare le meste tappe del cosiddetto medical dramma. Kumail è ovviamente perfetto nel ruolo che rievoca se stesso (…). Nella parte interamente occupata da una serie di paradossi, complessi, equivoci, bugie, battute fatalmente anti-trumpiane sui rapporti inquinati tra americani e islamici, idee liberal e principi induisti, si percepisce l’influenza del produttore Judd Apatow che non a caso nell’altra e più nota identità d’attore ha marcato uno stile sui generis d’intrattenimento (…) nelle gag il cui valore aggiunto è rappresentato dall’arruolamento di veri colleghi di Kumail e dalle prove di Holly Hunter (…) e Ray Romano nella parte dei genitori liberal della ragazza. Come abbiamo premesso, quando «The Big Sick» vira sul drammatico e la situazione diventa tutt’altro che ridanciana non si precipita nei soliti toni cupi e iettatori ma, anzi, emerge a sorpresa una corda segreta meno politicamente corretta e più decisamente romantica.
Valerio Caprara – Il Mattino