Dal 25 al 28 gennaio al Sanfelicinema

gennaioLocandina italiana L'Insulto

Giovedì 25
Venerdì 26
Sabato 27
Domenica 28

Ore 21.15 sempre,
Domenica anche ore 16.00

Drammatico,
Libano, 2017
Di Ziad Doueiri.
Con Adel Karam, Rita Hayek, Kamel El Basha, Christine Choueiri.
Durata: 1 ora e 53’.

Litigio sul lavoro e poi in tribunale. Un bel film sulle tensioni della società libanese.

LA CRITICA DEL FILM

Film libanese bellissimo, nominato all’Oscar come il miglior film straniero, che pone all’attenzione la doppia tragedia dei palestinesi profughi in terra straniera ove non sono voluti e di quei popoli che, ospitandoli contro voglia, hanno visto mutare in peggio le proprie condizioni di vita, avendo importato insieme ai profughi, la guerra e le sue drammatiche vicende. La storia ci racconta come certe fratture dell’animo umano sono difficili a rimarginarsi, alimentandosi di continuo con il rancore, l’insofferenza verso il nemico o comunque considerato tale, fino al punto, dinanzi alla incapacità di una presa di coscienza collettiva che consenta finalmente di fare i conti con la storia, di cercare attraverso un pretesto futile e banale, una vendetta personale, individuale ad una tragedia collettiva e familiare mai rimossa. Un litigio nato da un banale incidente porta in tribunale Toni e Yasser. La semplice questione privata tra i due si trasforma in un conflitto di proporzioni incredibili, diventando poco a poco un caso nazionale, un regolamento di conti tra culture e religioni diverse con colpi di scena inaspettati. Toni, infatti, è un libanese cristiano e Yasser un palestinese. Al processo, oltre agli avvocati e ai familiari, si schierano due fazioni opposte di un paese che riscopre in quell’occasione ferite mai curate e rivelazioni scioccanti, facendo riaffiorare così un passato che è sempre presente.
Alessandra Levantesi Kezich – La Stampa

Nel film libanese tutto sembra nascere dal carattere fumantino dei due contendenti, affidati agli eccellenti Adel Karam e Kamel El Basha (…) le ragioni dell’uno o dell’altro diventano la miccia che accende la contrapposizione mai sopita tra cristiano-libanesi (assimilabili per certi versi ai nostri leghisti) e profughi palestinesi, forti della solidarietà militante che li accompagna. E che il film svela poco a poco, un interrogatorio dopo l’altro, mentre ci si srotola davanti la storia degli ultimi cinquant’anni di storia libanese, fatta di sangue e di odi incrociati.
Paolo Mereghetti – Corriere della Sera

 A buon diritto, il soggetto può essere inserito tra i cosiddetti ‘film’ che segnano un allarme, accendono una miccia, indagano una ipotesi ad alto tasso di rischio. Insomma non soltanto una storia ma la cronaca, acuta e dettagliata, di come un fatto, piccolo e all’apparenza innocuo, possa montare e sfuggire al controllo di chi lo ha provocato. Al punto che tra le persone protagoniste e la folla di contorno si perde il senso di chi “ha cominciato”, colpe e discolpe si confondono, verità e menzogne finiscono in una dialettica sempre più sterile e i ruoli in tribunale (l’accusa, la difesa, il giudice) si accavallano finendo per sopportare l’aggravio di altre azioni non previste. La Storia si confonde con la storia, le ripicche si sprecano, gli smacchi sconfinano nella filosofia giuridica. Insomma non solo un film ma un film/summa, la sintesi di quello che non vorremmo fare e invece lasciamo che accada, impotenti e inefficaci. Campanello d’allarme incisivo e sostanziale, con una meritata Coppa Volpi per il miglior attore alla Mostra di Venezia 2017.
www.acec.it

Un’opera di immersione in profondità, dunque, tra lapsus e impulso, raccontata però in verticale, perché il conflitto, come la rabbia, come l’umiliazione, è qualcosa che monta. Raccontata in maniera diritta, appunto, attraverso tappe che si potrebbero dire prevedibili, eppure, non solo l’avverarsi del prevedibile è parte integrante del discorso, ma soprattutto è sfumato, colorato, drammatizzato da un ottimo copione, che si muove abilmente tra la sfera pubblica (e il film processuale) e il momento privato (dunque il dramma psicologico). Con il colpo di genio di fare dei due avvocati rivali un padre e una figlia, che non possono non portarsi in aula dell’altro: qualcosa che va al di là degli “atti”, esattamente come il confronto tra Toni e Yasser va al di là dell’insulto pronunciato sul momento e affonda in una sofferenza, privata e collettiva, che ancora tormenta e fomenta. Se il film ha un limite, nel suo essere quasi didattico sull’argomento, in quel limite c’è anche la sua forza comunicativa e la sua principale ragione d’interesse, al di là della bella scrittura e delle prove attoriali di Adel Karam e Kamel El Basha. Perché parlare del peso simbolico delle parole e delle sue conseguenze reali, vuole anche dire parlare della responsabilità di chi si esprime attraverso un mezzo che è megafono e dunque del ruolo del regista. Doueiri porta davanti ad una corte di giustizia le due parti, perché giustizia dev’essere e non rimozione, ma non auspica né vittime né colpevoli, solo di affrontare fino in fondo le cose, per poter finalmente voltare pagina.
Marianna Cappi – www.mymovies.it