Dal 17 al 20 maggio al Sanfelicinema

maggioLocandina italiana Molly's Game

Giovedì 17
Venerdì 18
Sabato 19
Domenica 20

Ore 21.15 sempre,
Domenica anche ore 16.00

Biografico,
Usa 2018
Di Aaron Sorkin.
Con Jessica Chastain, Idris Elba, Kevin Costner.

Durata: 2 ore e 20’.

Storia vera di una campionessa di sci che sbaglia vita. Un film “alla Scorsese” di uno sceneggiatore alla prima regia. Notevole.

LA CRITICA DEL FILM

Donne senza lagna, prima puntata. Succede, in un film scritto (e il primo diretto, senza errori e lungaggini) da Aaron Sorkin. Per mettere un po’ d’ordine: “Molly’s Game” è l’ultimo film obbligatorio nel programma di questa stagione peraltro ricca di soddisfazioni. Gli altri erano “Tre manifesti a Ebbing, Missouri”, “La forma dell’acqua”, “The Party”, “The Disaster Artist”, “Un sogno chiamato Florida” (per chi non si scompone davanti alle novità, anche “Black Panther” e “Ready Player One”, il tuffo di Steven Spielberg nella realtà virtuale). Sono in arrivo, prima della miseria estiva e al netto delle sorprese di Cannes 2018, “L’isola dei cani” di Wes Anderson e “La truffa dei Logan” di Steven Soderbergh). “Molly’s Game” è una gran bella storia raccontata benissimo, con irresistibili raffiche di parole dentro e fuori campo. Manovrate da un maestro, non per pigra scorciatoia o incapacità a tratteggiare i personaggi. Jessica Chastain è una fantastica e determinata Molly Bloom – nome vero, anche se tutti pensano l’abbia rubato all’“Ulisse” di James Joyce (con questo nome firma il suo memoir, che nella vicenda ha un ruolo non secondario, l’editore è Rizzoli). Ha dovuto abbandonare le gare di sci per un brutto incidente, si ritrova a Los Angeles. Il lavoro non sarebbe granché, ma come fringe benefit – da brava ragazza sveglia – impara a organizzare partite di poker clandestine, e presto si mette in proprio. Giocavano al suo tavolo registi e attori famosi – da Leonardo DiCaprio a Ben Affleck a Matt Damon – e i polli che amavano farsi spennare dalle celebrità. Gente che poteva perdere cento milioni in una sera, e pagare il suo debito il giorno dopo. Trasferita sulla East Coast – stesso mestiere stesso giro d’affari – incappa nella mafia russa. E nell’Fbi.
Mariarosa Mancuso – Il Foglio

 Un film ardito, che non sta mai fermo, proprio come le fiches strofinate di continuo sul tavolo. In eterni rimandi fra il presente in cui Molly è costretta a difendersi dalle accuse che la inchiodano e un passato in cui cerca di spiegare cosa sia successo davvero, Molly’s Game realizza un ritratto storico convincente e frizzante. Merito di una sceneggiatura, firmata dallo stesso regista, serrata come il montaggio di un film di Fincher, ma ancora di più di un’attrice, la Chastain, eroina del nostro tempo, che sfida il potere di uomini intoccabili a testa alta e a mente lucida. È lei l’emblema della donna emancipata, di quella che per vendicarsi di un padre fedifrago mette su un teatrino da centinaia di milioni di dollari solo per dire che ce l’ha fatta. Il finale non ve lo diciamo, anche se la storia di Molly Bloom è su tutti i giornali e gli atti giudiziari dello stato di New York. Quello che vi consigliamo, però, è di andare al cinema perché, di donne così forti e affascinanti, non ne avremo mai abbastanza.
Mario Manca – www.vanityfair.it

 Aaron Sorkin esordisce nella regia e lo fa da spavaldo: gioca a carte scoperte, non bluffa mai, e va sempre all in. Detto in altre parole: senza il filtro di un altro autore tra il copione e il film, con Molly’s Game spinge a fondo sullo stile e le tematiche che sono state sempre riconoscibili nelle sue sceneggiature, sia quelle per il cinema che quelle per la televisione; non si nasconde dietro un dito e anzi è decisamente più sfacciato del solito nel far emergere quel che della storia vera di Molly Bloom gli sta a cuore. A Sorkin interessa poco la parabola della Bloom in sé. Gli interessa pochissimo della sua ascesa e della sua caduta, ma gli interessano – e molto – le modalità e le particolarità, che sono quelle che sono perché Molly ha la storia (familiare) che ha avuto. Gli interessa magari un po’ di più poter fare di Molly l’ennesimo personaggio eccezionale e superiore alla media, non necessariamente simpatico, che – a dispetto di tutto: degli errori, del contesto, di un mondo sempre più sporco e corrotto e stupido di lei – possa far riecheggiare con la sua moralità quella retorica sull’animo dell’America e degli americani che è l’altra sua grande ossessione, da sempre. Ma soprattutto, in questo caso, a Sorkin interessa fare di Molly una figlia. Nei primi minuti di Molly’s Game, Sorkin sembra cercare nel dinamismo delle immagini una specularità con il flusso delle parole, ma l’impressione scema abbastanza rapidamente: perché l’attenzione precipita presto oltre la superficie dello schermo, catturata dalla rete del racconto, della voce narrante e dei dialoghi, e dalla profondità dell’interpretazione di Jessica Chastain. Che non è mai stata così bella e – forse – non è nemmeno mai stata così brava, e lascia a bocca aperta tanto è magnetica e maestosa la sua interpretazione, che regge sulle sue seducenti spalle tutta la complessa architettura della scrittura sorkiniana. (…) Sorkin racconta con il suo film di un mondo che si sta disfacendo, che si sta perdendo, di principi, valori e morali che si stanno sgretolando. Di padri che vogliono salvare dei figli, a costo di scontentarli. Di persone che commettono errori, certo, come tutti, ma che sanno e rispettano il valore della parola data, della vita altrui, che vogliono mantenere pulito il loro nome. Persone che non sono conservatrici, per questo, ma che anzi, al contrario, sono le più progressiste di tutte. Perché è il passato, quello buono, a dover fare da fondamenta a quello che verrà nel futuro, come i padri (e le madri) fan da fondamenta ai loro figli.
Federico Gironi – www.comingsoon.it

(…) Le sceneggiature di Sorkin magari non hanno il potere di cambiare le opinioni altrui, ma di certo impongono un’attenzione cinematografica di tipo differente: non tanto visiva, quanto uditiva, capace di spostare il cervello dello spettatore dagli occhi alle orecchie e di illuminare sotto una luce nuova alcuni eventi della storia americana contemporanea. Il suo linguaggio non è quello di un sofista deciso a nascondere sotto le parole contenuti ambigui o assenza di contenuti: la sua è una linguistica esplosiva e spettacolare, una continua iniezione intellettuale che sovrappone le conoscenze enciclopediche a un umorismo brillante, lunghe metafore acrobatiche a deduzioni sintetiche, sviluppandosi attorno a un messaggio preciso o a un’idea particolare. Nei suoi ultimi lavori (The Social Network, L’arte di vincere, Steve Jobs) quest’idea è sempre stata circoscritta nel perimetro delle tematiche del Sogno Americano, dell’azione del individuo nel mondo e del capitalismo nella società americana ed è sempre stata affrontata attraverso il suo particolare stile autoriale. La parola però è sempre protagonista, presenza persistente che racconta, informa, spiega, sintetizza, dimostra. In Molly’s Game la continuità tematica con le opere precedenti è evidente, ma il discorso tecnico riguardante la parola e l’ascolto si amplifica e non interessa più solo la parte “scritta” del prodotto.
Leonardo Strano – www.mymovies.it

 (…) Sorkin riesce in due ore di film a essere un ottimo narratore, mai noioso; perché vale la pena vedere le inquadrature che ritraggono le mani che mischiano e muovono le carte. Tutte di giocatori professionisti.
Silvia Morosi – www.corriere.it