Dal 19 al 22 gennaio al Sanfelicinema

GENNAIO

Giovedì 19 (in inglese)
Venerdì 20
Sabato 21
Domenica 22

Ore 21.15 sempre,
Domenica anche ore 16.00

Drammatico,
USA 2016
Di Matt Ross.
Con Viggo Mortensen, George MacKay, Samantha Isler.
Durata: 2 ore.

Padre e sei figli lasciano la foresta dove vivono per andare al funerale della moglie. Qualche lacrima e molte risate per il balzo nella vita reale. Viggo Mortensen grande interprete.

LA CRITICA DEL FILM

L’attore Matt Ross, alla sua seconda regia, scrive e dirige un film intelligente ed emozionante, che sotto la facciata carnevalesca e un po’ vintage, tocca temi più contemporanei e meno comuni di quanto si possa pensare. Ad un primo livello, infatti, il film s’inserisce nella tradizione del cinema indie che tratta della fatica della socializzazione per chi è o si sente diverso, specie in quell’età giovanile in cui socializzare è un diktat, la tradizione del coming of age e della famiglia imperfetta: tutto questo c’è, compreso il viaggio in pulmino (in questo caso una vera e propria casa-bus), ma è la parte meno interessante del film, narrativamente sovrabbondante. Ciò che rende Captain Fantastic un film meno scontato del previsto, è invece il suo mettere al centro il tema dell’educazione, problematizzandolo. Non è per amore dell’eccentricità fine a se stessa che Ben mostra ai due cuginetti, imbottiti di videogiochi, che suo figlio di non ancora otto anni ha capito il Bill of Rights meglio di quanto non abbiano fatto loro, che vanno a scuola tutti i giorni. È perché davvero l’american way of life (e l’Occidente tutto) ha dei problemi enormi in materia di educazione, didattici e relazionali. Sotto le esagerazioni a fini comici (le ragazzine che tra loro parlano esperanto) e gli slogan prefabbricati (Abbasso il sistema!), il progetto, a metà tra Steiner e Thoreau, non è certo ridicolo. Per di più, Ross lo problematizza in due modi: facendo scontrare l’utopia con le difficoltà oggettive della sua messa in pratica e affidando il ruolo ad un Viggo Mortensen che incarna perfettamente l’ambiguità del personaggio del padre, compagno e dittatore. Si può obiettare che nel film ci sia molta irrealtà, che “fantastic” stia per “ideale”, ma uno dei punti del film di Matt Ross è proprio l’idea che immaginazione e onestà non siano in contraddizione e che privare il bambino di un’alternativa al racconto sociale istituzionale voglia dire impoverirlo.
Marianna Cappi – www.mymovies.it

In questo racconto antropologico da Lèvi Strauss, certi costumi sono fin troppo sottolineati e il paradosso talvolta barcolla in cerca dell’effetto Sundance, come si dice, l’indipendenza di forma e sostanza sottolineata tre volte: per capirci, l’esatto contrario di ‘Tutti insieme appassionatamente’. La lezione funziona, convincendo in parte: l’allegra tribù che vuole evitare l’intera civiltà occidentale, ha un lato folk intelligente tardo hippy per cui i nonni sono l’emblema dell’establishment Trump, ma non si cade mai nel banale e la ricerca dell’impossibile armonia tra natura e cultura, pancia e testa, crudo e cotto, dà vita a un esercizio «nature» spesso trascinante e originale.
Maurizio Porro – Corriere della Sera

Tra una ‘Festa di Noam Chomsky’ (niente Babbo Natale, mito consumista: si celebrano solo spiriti liberi) e un blitz nell’allucinante mondo ‘normale’, molti nodi verranno al pettine. Anche drammaticamente. Ma senza che questa irresistibile commedia familiare scritta e diretta da Matt Ross, classe 1970, perda mai in intelligenza, buonumore e piacere della visione. È vero, Ross è così bravo che rischia l’autocompiacimento, proprio come Ben/Mortensen. E la trovata finale, così dolciastra, non è all’altezza. Ma il misto di gioia e sconcerto con cui i sei rampolli reagiscono alle sortite del loro super-padre vale da solo la visione. Per non parlare dei dialoghi che riescono a rendere credibili e naturali quei bambini preparatissimi e insieme fuori dal mondo. Altro che Montessori, metodo steineriano o licei sperimentali. Per papà Ben la vita è lotta, tanto vale dotarsi delle armi migliori, anche intellettuali. Mai utopia fu rappresentata con tanto divertimento. E senza cedere alla facile irrisione, ma anzi mostrando fino alla fine il fascino eterno di ogni tentativo di costruire un mondo totalmente diverso, e almeno teoricamente migliore di quello in cui ci è dato vivere.
Fabio Ferzetti – Il Messaggero

 (…) operina indipendente, un film hipster che si segnala per originalità in un cinema ormai largamente formattato. Più ideologico di Wes Anderson, di cui condivide un po’ iconografia e colori, Ross mette a confronto in una serie di ottime scene (la cena a casa dei cugini, il discorso in chiesa) quelle che sono, in fondo, due forme opposte di follia: la follia del metodo di educazione oltranzista di Ben e la follia della gente cosiddetta normale, ligia a una serie di dogmi assurdi ma che il conformismo quotidiano non ci lascia avvertire come tali. Il raffronto fa uscire molto bene tutto ciò, accostando i ragazzi intrisi di anticapitalismo a coetanei addicted dei videogiochi e fieri della propria ignoranza; o nel confronto tra il padre di famiglia estremista e il nonno conservatore, che lo ritiene responsabile della morte della figlia. Fa piacere constatare come argomenti, al fondo, così importanti possano essere trattati nei toni di un feel-good-movie accessibile a tutti, intelligente, non manicheo e buono anche per chi cerca solo un piacevole intrattenimento. Se la sceneggiatura, scritta dallo stesso regista, avesse saputo conservare fino all’ultima scena quella leggerezza di tocco, il film poteva diventare un piccolo capolavoro. Invece, verso la fine, s’insinua nella vicenda una dose di mélo, riproponendo convenzioni non proprio inedite del ‘dramma di famiglia’. Un po’ spiace, anche se bisogna riconoscere che un finale andava pur trovato; e che il compito di restare all’altezza di una premessa così insolita non era dei più facili. Inappuntabile da capo a fondo, invece, la prestazione di Viggo Mortensen: abbastanza carismatico, tenero (e un po’ schizzato) da rendere credibile l’identificazione dei figli. Però è al livello tutto il cast, da un fantastico gruppo di ragazzini al veterano Frank Langella nella parte del nonno.
Roberto Nepoti – La Repubblica

 Arriva uno di quei casi in cui ci vuole un pizzico di coraggio per osteggiare il trasporto della maggioranza del pubblico che si percepisce raggiante. «Captain Fantastic», infatti, è un tipico film «indie», un prodotto cosiddetto alternativo che potrebbe fungere da manifesto del festival off-Hollywood di Sundance e non a caso ha elettrizzato la platea del festival di Roma dove ha vinto l’unico premio disponibile. Il secondo titolo firmato dell’ex attore di seconda fila Matt Ross gode, inoltre, del protagonismo di un ottimo attore come Mortensen, per l’occasione immerso nei ricordi dell’infanzia del regista trascorsa in seno a una comunità simil-hippy (…). «Captain Fantastic», molto meno onestamente di quanto proponeva l’affine «Little Miss Sunshine», si serve di sequenze che dovrebbero essere poetiche e risultano invece goffamente didascaliche (…), mentre per quanto riguardalo stile si ritrova a filmare l’anonimo grigiore dei sobborghi civilizzati esattamente come filmava l’inebriante vitalismo delle foreste inaccessibili.
Valerio Caprara – Il Mattino

Strano film: maturo di regia, convincente scena per scena, ma debole nello sviluppare essenziali passaggi narrativi. E tuttavia restano forti la mozione degli affetti, l’utopia libertaria, e un indovinato cast capitanato da un davvero fantastico Viggo Mortensen.
Alessandra Levantesi Kezich – La Stampa

Quasi un sottogenere l’avventura della ‘famiglia disfunzionale’ (l’ultimo, con la stravagante coppia Walken-Kidman di ‘La famiglia Fang’). Negli Usa, al cinema come in letteratura (Jonathan Franzen ci lavora da 20 anni), rimescola le carte del biografismo sociale e rilancia la differenza e il rifiuto di consumismo e appiattimento. In questo caso l’egoismo patriarcale, pieno di contraddizioni tra dura educazione fai-da-te e organizzazione militare, incrocia idealismo, estremismo antropologico ed esotismo, ricordando quando vestivamo alla hippy. (…) Da esperienze del regista e sceneggiatore Matt Ross, è interessante quando profila le diverse reazioni dei ragazzi al potentato del padre e il rischio di nuocere al loro futuro praticando l’autonomia da ogni convenzione.
Silvio Danese – Nazione-Carlino-Giorno

Pluripremiato dal Sundance a Cannes e alla Festa di Roma, l’opera seconda di Matt Ross, educato in una comune, è un prodigio formale e tematico, capace di smontare la sacralità dell’ideologia hippie a vantaggio di un nuovo paradigma pedagogico, fondato sulla sana mediazione. E tale ‘compromesso’ risiede anche nella scelta linguistica adottata dal regista 46enne: squisitamente indie ma assai attraente al grande pubblico, che riderà e si commuoverà con papà Cash e i suoi magnifici ragazzi. Superlativa la prova di un Viggo Mortensen sufficientemente vulnerabile da diventare un eroe saggio e credibile. Un gioiello da non perdere.
Anna Maria Pasetti – Il Fatto Quotidiano

Piacerà a chi ama le storie americane e i personaggi alla Gary Cooper. Al suo secondo film, Matt Ross si segnala ancora per la puntualità della scrittura e l’approccio non banale per il tema di sempre: il cozzo tra gli ideali della vecchia America e il pragmatismo che è l’unica arma di sopravvivenza negli Usa di oggi.
Giorgio Carbone – Libero

(…) incrocio tra una sitcom tv e una versione di ‘Il signore delle mosche’ ambientato nei boschi del Pacific Northwest, un ‘Tutti insieme appassionatamente’ con sfumature Unabomber. Una satira dark della classica dramedy con famiglia disfunzionale americana che purtroppo spreca molte delle sue cartucce sfoggiando in modo troppo lezioso e accondiscendente la propria «intelligenza» e – nonostante le premesse così anti establishment che l’Ivy League è bandita come un nemico dal futuro dei ragazzi/cervelloni – in un finale sdolcinato e reazionario.
Giulia D’Agnolo Vallan – Il Manifesto

Un film originale, emozionante, indipendente, ricco di spunti di riflessione, ottimamente interpretato.
Maurizio Acerbi – Il Giornale